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Come Zaffiro cambiò lo shojo (e la tv delle ragazze)

Tutta colpa dell’angelo Choppy. Neanche in Paradiso uno può stare tranquillo: soprattutto se è in procinto di raggiungere la terra con la cicogna come capita a Zaffiro, beffata dall’angelo giocherellone a portare in petto due cuori, uno maschile (quello sbagliato) e uno femminile (quello giusto). Sai che casino una volta che Zaffiro, principessa del regno di Silverland, si ritrova a crescere con doppia pulsione (una romantica e una da cappa e spada) in un regno, quello di suo padre, che non consente alle donne di salire sul trono? Appunto, un bel casino. Siccome Zaffiro non è Elisabetta I di Inghilterra, e non occorre far rotolare teste, viene stabilito di farla passare per principe. Del segreto sono a conoscenza la governante e il medico di corte, oltre ai due sovrani. Ma qualcuno sospetta e non vede l’ora di smascherare l’inghippo. Peraltro molto innocuo visto che Zaffiro è un/a caro/a ragazzo/a e tutti le vogliono bene, anche quando si caccia nei guai per quel suo cuore birichino. La strana coppia rappresentata dal Granduca Duralmin e Sir Nylon sogna infatti di impossessarsi del regno e piazzare sul trono il bamboccio Plastic, figlio del primo, per poi governare sottobanco. L’occasione propizia si presenta quando riescono a far bere alla regina una pozione che la costringe a rivelare la verità, e a questo punto a Silverland le cose non andranno più tanto bene.

In un clima fiabesco e quasi disneyano, questo racconta La Principessa Zaffiro (Ribon no kishi); manga per ragazze e serie animata di successo che Osamu Tezuka creò rispettivamente tra il 1953 e il 1956 sulle pagine del mensile “Shojo Club”, e quindi nel 1967 con la sua Mushi Production per la rete Fuji. Da bravo innovatore del fumetto qual era, con Ribon no Kishi Tezuka si inventò in pratica il fumetto per ragazze rimediando agli impiastri narrativi sinora apparsi nelle pubblicazioni dell’epoca. Zaffiro seguiva l’esempio di Astro Boy e Kimba, raccontando una storia completa con tanta azione, colpi di scena e quel romanticismo sbrodoloso di stelline e luccichii che avrebbe reso tanto famoso il genere dello shojo manga. E una volta approdato in televisione, scipperà addirittura il posto a Sally la maga di Mitsuteru Yokoyama che era sicuramente arrivata prima sui teleschermi nipponici, nel dicembre del 1966. Ma come ogni buon appassionato sa, Yokoyama, Shotaro Ishinomori, Tetsuya Chiba e perfino Leiji Matsumoto si erano infilati in corsa nel genere shojo, seguendo l’esempio supremo del buon Tezuka che in quegli anni faceva da guida praticamente a chiunque.

La serie animata segue rispettosa l’itinerario fiabesco del fumetto di partenza, pur concedendosi qualche libertà perché Tezuka aveva la fissa di migliorarsi sulla carta (ritoccando le nuove edizioni dei suoi manga) ma anche sullo schermo. In tivù ci arriva, come Kimba, a colori ma i giovani spettatori dell’epoca sono costretti a seguirlo su televisori in bianco e nero, eppure le avventure di Zaffiro appassionano. L’angelo pasticcione Choppy (Tink nella versione giapponese) la segue dappertutto e la storia d’amore con il principe Franz del vicino regno di Goldland è tutta scintille, soprattutto quando Zaffiro stuzzica la fantasia romantica del suo innamorato vestendo panni femminili. Formidabili le avventure televisive perché la lista dei cattivoni non si ferma ai due sgherri, il panzuto Duralmin e il nasone Nylon, ma si nutre delle perfidie di Satana (che vuole il cuore di Zaffiro per la figlia) e di Mr. X con il suo esercito di sinistri figuri nerovestiti che metteranno sottosopra il regno di Silverland. Non c’è fan che non abbia tribolato in prossimità del finale.

Senza saperlo, Tezuka aveva così inaugurato un filone che si sarebbe nutrito a lungo di personaggi femminili forti e combattivi. Anche senza dotarsi di atmosfere fiabesche, dopo Zaffiro in televisione arrivano (e in qualche caso trionfano) eroine come le pallavoliste di Attack No. 1, la tennista Jenny di Sumika Yamamoto, le streghe sexy di Bia la sfida della magia, e le orfane assortite da Candy Candy in su fino alla battagliera Oscar François de Jarjayes che di Zaffiro è considerata una ideale erede (corpo femminile, indole maschile). Per realizzare La Principessa Zaffiro, in onda dall’aprile 1967 per un totale di 52 episodi, Tezuka affiderà la serie animata ai due chief director Chikao Katsui (animatore che veniva dalla Toei e in seguito impiegato in Kimba e The Monkey) e Kanji Akabori (Hello Kitty). Come riportato dalle varie annate dell’Animage Pocket Data Notes, la direzione delle animazioni fu curata da Kazuko Nakamura, altra ex impiegata Toei passata a disegnare gran parte dei lavori tezukiani degli anni Sessanta; e da Sadao Miyamoto (Gatchaman). Una serie cult con un solo cruccio. Tezuka non riuscì mai a proporla ai dirigenti dei network televisivi americani, come aveva fatto qualche anno prima con Kimba. Negli States Zaffiro ci arriverà soltanto nel 1972 e neanche tutta intera: in inglese e in un film per la televisione realizzato montando tre fra gli episodi più innocui intitolato Choppy and the Princess. Giusto per non impressionare il pubblico americano che all’identità sessuale dei suoi pargoli, evidentemente, teneva tanto.

Peccato. Come sempre con le opere di Osamu Tezuka, anche Zaffiro aveva il suo bel bagaglio di contrasti interiori e conflitti con il mondo circostante che erano molto simili a quelli affiorati in altri eroi dello star system tezukiano. Inoltre, oltre ad aver piantato le radici del nascente genere shojo, aveva in sé lo spirito di quel Takarazuka che tanto affascinò il disegnatore in gioventù. Ragione in più per considerare Zaffiro un’eroina moderna, come non se n’era mai vista prima.

Mario A. Rumor

© Tezuka Production / Mushi Production

 
 
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