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Space Battleship Yamato: e ora si combatte sul serio

Isao Sasaki cantava negli anni Settanta “Saraba chikyuu yo tabidatsu fume wa Uchuu Senkan Yamato…” (Arrivederci Terra, la nave che sta salpando è l’incrociatore spaziale Yamato) come fosse un inno nazionale. Una regola aurea quella di dire arrivederci, addio, ciao nello spazio. Ma in fondo pure quel motivetto patriottico, che ancora oggi fa inorgoglire le masse innamorate perse di Susumu Kodai e soci, ha fatto la fortuna della corazzata Yamato. Negli anni zero, con gli anime sempre più disposti a cedere il posto ai film con attori in carne e ossa, Uchuu Senkan Yamato dalla sua ha nientemeno che Steve Tyler degli Aerosmith che canta “Love Lives”, theme song del sontuoso Space Battleship Yamato, il live action da poco uscito nelle sale giapponesi. Canzone che viene sparata nei giganteschi foyer delle sale cinematografiche di Tokyo – altro che le multisale nostrane – e che accompagna gli spettatori dall’ingresso fino alla poltroncina (correte su YouTube a vedere il tizio che si è filmato lungo questo simpatico tragitto tra locandine, corrimano dorati, tappezzeria a cinque stelle, inservienti a ogni angolo, con inquadratura finale sul cartello che vieta macchine fotografiche e telefonini). Per l’incrociatore spaziale questo e altro.
 
L’amore dà, l’amore prende racconta la canzone di Tyler. Chissà se il compianto Yoshinobu Nishizaki, storico ideatore della serie Yamato, avrà pensato lo stesso vedendo le prime scene di questo kolossal di oltre due ore che TBS, sezione cinema della rete Tokyo Broadcasting System, inseguiva dal 2005. Proprio lui che ha dovuto combattere in tribunale per il riconoscimento dei diritti sulla sua più fortunata creatura, maneggiando con cura un culto assoluto di manga e anime cui ha dato il suo ultimo contributo proprio nel 2009 con il lungometraggio d’animazione prodotto dal figlio Shoji Uchuu Senkan Yamato – Fukkatsu-hen (Yamato – Rebirth Chapter), introducendo un nuovo equipaggio guidato da Kodai ma senza mantenere integro il design originale di Leiji Matsumoto. Questione d’amore, questione d’onore. In un verso, quello giusto dei fan, Corazzata Yamato ha in fondo rappresentato nel 1974 il primo clamoroso successo degli anime negli anni del boom, traghettando una soap opera spaziale per il piccolo schermo direttamente nei cinema; risollevando così l’umore dell’industria animata che dal ’69, anno di Il Gatto con gli stivali, non godeva più di incassi fragorosi. Nell’altro verso, quello dello sfruttamento di un mito, Yamato s’è persa per strada, ha cercato appigli un po’ ovunque (pensate a Yamato 2520, l’OAV del 1994 che di buono aveva il mecha design di Syd Mead), anche quando riaccompagnata a casa da Matsumoto grazie a nuovi manga o progetti mirabolanti e mai concretizzati.
 
Un film dal vivo naturalmente è un grosso cambiamento. Un rischio economico (che TBS ha calcolato nella modica cifra di 2 miliardi e mezzo di yen) e un capitombolo che può nuocere all’immagine della serie, con tutte quelle fastidiose blasfemie dei live action che talvolta riescono a rendere ridicola ogni cosa (la sindrome del Batman in calzamaglia con Adam West, la chiamiamo noi). Anche ci fosse in scena attore dal sapore shakespeariano. Invece, Space Battleship Yamato pare per adesso essersela cavata egregiamente, non solo a partire dagli incassi record (un miliardo di yen nei primi cinque giorni di programmazione, dietro Harry Potter), ma anche per il battage pubblicitario iniziato nei mesi scorsi con il lancio di trailer e sneak peek. Tanta pubblicità e bocche cucite su un film che in soldoni racconta una storia che gli appassionati conoscono a memoria. E cioè: nell’anno 2199 Gamilas attacca la Terra, i terrestri uniscono le forze ma presto soccombono a causa degli ordigni nucleari che devastano il suolo del pianeta, costringendo i sopravvissuti a vivere sotto terra per proteggersi dalle radiazioni. A questo punto Susumu Kodai, un pilota - un mito, vede cadere dal cielo una capsula contenente un messaggio del pianeta Iskandar, lontano 148 mila anni luce. Nel messaggio viene detto che il pianeta possiede la tecnologia necessaria per sanare la Terra dalla devastazione e, nella capsula, sono pure custoditi i progetti di costruzione di un motore che consentirà ai terrestri di raggiungere Iskandar più velocemente (hanno 363 giorni di tempo prima della catastrofe). La vecchia nave da guerra Yamato viene rimessa a nuovo in fretta e furia e, con Kodai tra i cadetti più in gamba, il viaggio ha inizio sotto il comando del capitano Okita (il capitano Avatar della mitica versione americanizzata Star Blazers – I guerrieri delle stelle).
 
A trentasei anni dalla serie Tv pare quindi che un mito sia finalmente risorto. Alcune voci di corridoio ad esempio danno per certa la realizzazione di un secondo capitolo animato prodotto dall’entourage Nishizaki, con addirittura un nuovo anime televisivo in arrivo nel 2011. Staremo in allerta. Di certo pochi avrebbero immaginato di vedere nel ruolo di Kodai il bel faccino di Takuya Kimura, leader degli SMAP e già voce di Howl nel film di Hayao Miyazaki. Bel faccino, e buon temperamento d’attore, che porterà un traino economico in più al kolossal distribuito in oltre 400 copie (Kimura è solitario protagonista di una delle due locandine ufficiali della pellicola, quella con sguardo afflitto e devastazione radioattiva sullo sfondo: vorrà pur dire qualcosa?). Di sicuro non è la sola presenza proveniente dalla musica leggera: Yuki Mori l’innamorata di Kodai ha infatti il volto di Meisa Kuroki con capello castano (abbastanza lungo da non tradire l’estetica dei personaggi di Matsumoto: femminili all’ennesima potenza ma quasi sempre biondi). L’attrice ha sostituito all’ultimo minuto la cantante e modella Erika Sawajiri inizialmente scelta per la parte; ed è perfettamente a suo agio sia nei drama televisivi sia al cinema (due film con Takashi Miike nel curriculum). TBS evidentemente ha fatto bene i suoi conti arruolando due giovani volti amati dal pubblico.
 
Del regista Takashi Yamazaki, classe 1964, anche autore degli effetti speciali, non si può che parlare bene. Diventato una celebrità grazie ai due titoli Always Sunset on Third Street (in cui ha fatto capolino perfino Godzilla), di lui sappiamo che da ragazzino guardava i film della saga Star Wars con la segreta speranza di poter un giorno creare le meraviglie prodotte da George Lucas e la Industrial Light & Magic. Qualcosa è riuscito a fare. Prima il trasferimento a Tokyo, quindi la gavetta nel mondo dello spettacolo, videoclip e pubblicità (poche) prima di debuttare al cinema con l’interessante Juvenile (2000). In Space Battleship Yamato mezzo sogno “spaziale” s’è realizzato: non ci saranno Ian Solo e Luke Skywalker, ma vuoi mettere come vien bene la stazza eroica di Susumu Kodai con folta capigliatura e tutina con freccia rossa all’ingiù? Potete giocarvi l’anima che su questo Yamazaki non si è fatto mancare nulla, rendendo per esempio più spettacolari le diavolerie tecniche “interne” della corazzata con il motore e il temibile, e ultrafamoso, cannone a onde moventi. L’intervento della CGI sulla nave da guerra è sicuramente più efficace di quanto visto nel film animato del 2009; nel frattempo qualcuno s’è preso la briga di contare oltre 65 minuti di scene con mirabolanti effetti visivi (confezionati da Shirogumi, la società dello stesso Yamazaki) e le poche scene viste su internet fanno ben immaginare il clima sci-fi.
 
Qualche anomalia giusto per far rizzare i capelli ai fan oltranzisti: per decisione congiunta di regista e sceneggiatrice (Shimako Sato, che due anni fa ha conquistato il pubblico di casa con il film K-20 – Legend of the Mask) alcuni ruoli maschili, tipo il dottor Sado, sono stati resi femminili; inoltre i nemici di Gamilas sono alieni nel vero senso della parola e non dall’aspetto umano come nell’anime: lo stesso Supremo Desslock (Deslar) è presente nel film con la sola voce, quella del doppiatore storico Masato Ibu. Forse una di quelle blasfemie dei live action concepite per evitare sovraffollamento o tragica accumulazione di situazioni ridicole. Magari funzionerà a meraviglia in un film come questo. A patto che qualcuno faccia sparire la barba grigia posticcia del capitano Okita: troppo simile a Capitan Findus. Ma per la corazzata Yamato, come si dice, questo e altro.
Space Battleship Yamato ha goduto di un prima mondiale lo scorso 6 novembre a Santa Monica, California, nell’ambito dell’American Film Market: occasione perfetta per acquirenti, fortunatissimi inviati di siti e riviste per assistere in anteprima alla pellicola. Non fosse che il giorno dopo è venuto a mancare proprio Yoshinobu Nishizaki. Festa rovinata per tutti. Uscito il primo dicembre, al momento non si contano assalti inferociti degli appassionati più anziani in Rete, ma il film deve ancora trovare un distributore in America dove un’intera generazione di anime fan è cresciuta seguendo in tivù le avventure di “Derek Wildstar” (il fu Susumu Kodai) e della nave Argo. Per ora soltanto la francese Wild Side Films è arrivata prima in Europa. Consoliamoci: se arriva il bizzarro Yattaman di Miike, chi mai potrà fermare un kolossal action come questo?
 
Mario A. Rumor
 
©  2010 Space Battleship Yamato Production Committee
© Leiji Matsumoto/TOHOKUSHINSHA/Bandai Visual
© 2009 Yamato Studio/Enagio/Toho/Emotion

 
 
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