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Approfondimenti

La Regina della Nevi secondo Osamu Dezaki

Tratto dal racconto di Hans Christian Andersen è tornato in una sontuosa serie televisiva uno dei classici tanto amati dal pubblico giapponese. Messe da parte le vesti da fiaba, The Snow Queen (2006) è lo splendido racconto di un’amicizia tra due ragazzini e del coraggio di uno di loro per mantenere vivo quel legame. Dietro le quinte, uno che sull’argomento infanzia qualcosa conosce: Osamu Dezaki. Dietro di lui invece c’è un genere che amiamo molto (e voi?), il sekai meisaku gekijo (ovvero: i capolavori della letteratura per ragazzi), che si credeva perduto e invece è più vivo che mai.
 
L’inverno del nostro scontento
In un piccolo villaggio europeo del XIX secolo Gerda e Kay sono due undicenni che vivono la loro vita, tra casa e scuola, nella spensieratezza e nei giochi a contatto con la natura. La ragazzina abita con la nonna in una casa che si affaccia su quella di Kay e della sua famiglia. Tutti si aiutano a vicenda in completa armonia, passando incantevoli pomeriggi di primavera mangiando all’aperto, mentre i due bimbi si rincorrono sui prati o si avventurano, senza avvisare gli adulti, nel bosco fantasticando di presenze oscure e antiche. Le stagioni si danno rapidamente il cambio e con l’inverno alle porte, un misterioso evento cambia all’improvviso il comportamento di Kay. Nello sconcerto generale, e con Gerda seriamente angosciata per l’amico, il ragazzino viene portato via una notte dalla Regina delle Nevi senza lasciare più traccia. Al villaggio sono tutti convinti che Kay sia morto, ma Gerda non si lascia scoraggiare dalle voci e parte per un lungo viaggio alla ricerca dell’amico.
 
Classici immortali
Da intendersi non soltanto in omaggio allo scrittore Hans Christian Andersen, ma anche in ossequio alla materia dei sogni televisivi che, quando necessario, si rimboccano le maniche per narrare alcuni importanti classici della letteratura mondiale. Talvolta sorprendentemente attuali. Dopo Nippon Animation negli anni Settanta, pure la Tokyo Movie Shinsha si era dedicata a questo genere con risultati dignitosi: vedi Remì (1977). Oggi spetta alla rete di Stato, la NHK, farsi avanti e tentare l’approccio con un pubblico troppo innamorato di mostri tascabili e paladini della giustizia. Scegliendo di fare la serie The Snow Queen mantiene intatti fin dal principio i dettami educativi e didascalici che stanno alla base della sua storia come principale network dell’Arcipelago. Non soltanto si prende la briga di inserire una voce fuori campo a raccontare e commentare l’intreccio, ma di ogni personaggio indica nome e cognome e si ingegna di costruire momenti topici come quando ai giovani spettatori viene mostrato addirittura l’atto di filare i tessuti, preparare il pane o raccogliere quanto disponibile in natura per alimentare il fuoco d’inverno. Sotto questo punto di vista il regista Osamu Dezaki è metodico e ben disposto. Con il suo bagaglio decennale in storie per ragazzi sa dove mettere punto e virgola nella narrazione, che è sempre elegante e al passo coi tempi. Talvolta si concede pure piccoli divertissement quando inserisce in una immagine un bell’esemplare di rosa (che sta a indicare il legame di amicizia tra Gerda e Kay) lasciando supporre al suo pubblico il più ovvio dei riferimenti: Lady Oscar, da lui diretto nel 1980. Oppure quando fa apparire un anonimo personaggio sulla scena con indosso il copricapo dei pirati, come quelli de L’Isola del Tesoro, la serie realizzata per TMS nel 1978.
 
Regina inquieta e glaciale
Quindi c’è lei, la protagonista a lungo evocata nella serie che siede su un trono di ghiaccio in attesa che qualcosa arrivi, qualcosa che infranga il monotono equilibrio della sua non-esistenza. Accanto ha un troll rosso e uno nero (in originale: Akai Troll, Kuroi Troll), creature pestifere e a tratti perfino simpatiche che aiuteranno a disfare quella apatia, giocando con il destino dei due piccoli esseri umani Gerda e Kay che, rispetto alla glaciale Regina, risplendono d’altro canto di luce propria. Come sempre nelle opere di Dezaki, anche questa emblematica figura femminile è carica di un’energia tutta sua, inquieta e tormentata che sullo schermo ritrasmette un secolare senso di anemia nei confronti della vita.
 
Come ai vecchi tempi
Nonostante le animazioni della serie si assestino su livelli qualitativi medi, è impossibile non rivendicare per lo sguardo un bagaglio emozionale che affonda le radici in quel glorioso passato di classici come Remì e L’Isola del tesoro. La coppia Osamu Dezaki e Akio Sugino (character design di fiducia di lunga data) ancora una volta ripropongono al pubblico tutta una serie di scelte stilistiche in cui i movimenti ariosi della macchina da presa e impeccabili stop frame si mescolano alla perfezione. Anche l’utilizzo dello split screen (lo schermo diviso in due o più settori) rivendica il suo spazio, come in passato. Il design di Sugino ruggisce ancora memore dei vecchi tempi, magari meno elegante e più formale, ma in linea con le pretese qualitative richieste dal budget. Uno stile di disegno riconoscibile a vista come si intuisce dalla sigla di inizio Snow Diamond (cantata da Mariko Chisumi), realizzata in prima persona dal celebre disegnatore. La regia di Dezaki, autore di quasi tutti gli storyboard, ne è una fedele seguace: non si fa scappare i dettagli, gioca con la poesia evocativa delle immagini (splendidi gli scenari) e si compiace di misurarsi con la musica di Akira Chisumi. C’è una maturità di vedute che allo sterile adattamento su schermo del racconto preferisce l’esaltazione di una amicizia e dei piccoli grandi sacrifici che per essa gli esseri umani sono chiamati a compiere.
 
© NHK per le immagini
 
 

 
 
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