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Profili/omaggi

Hayao Miyazaki - Seconda parte

L’artista che tutti vorrebbero tenere per sé finalmente arriva al cinema. Primo appuntamento a novembre con il poetico Totoro. e voi ci sarete?
Storie da una foresta di demoni e dèi
Per rimettere le mani sul progetto di Mononoke hime (1997), Miyazaki ha dovuto pazientare quasi sedici anni. Il film muove i primi passi in una foresta da fiaba, dalla quale si esce per violare i territori dell’uomo con inaudita violenza. Per la prima volta nel suo cinema dettagli mostruosi e raccapriccianti si intrufolano come “corpo” minaccioso sebbene sotto il segno del divino (il tentacolare tatarigami di inizio film è il dio che scaglia le maledizioni), e come putrido maquillage per mascherare il corpo vero. Animato da un impalpabile rancore il kolossal di Miyazaki si ritaglia una cornice storica che è colorata “parodia” di quella di I sette samurai di Kurosawa, la prima opera naturalmente con la quale finisce per confrontarsi.
A occhio si intravede la riflessione che il regista ha maturato nei confronti della Natura, essendo egli ancora in apprensione per il futuro che generazioni come la sua stanno lasciando in eredità a figli e nipoti. Resta il fatto che nelle oltre due ore di film si aggira un insolito astio, quasi se – dopo sublimi peripezie fantastiche e popolari – le piroette e i mille sorrisi si fossero improvvisamente congelati. I corpi e gli sguardi sono quelli di sempre, ma chi gestisce l’azione sembra aver iniettato una fiele contagiosa che procura all’essere umano sintomi di ansietà e preoccupazione. Tocca quindi alla Natura, che qui più di una volta esce allo scoperto, intitolare a suo nome una feroce pratica distruttiva indirizzata al mondo degli uomini, utopico e “matriarcale”, fotografato nel suo attimo di prepotente invadenza verso la modernità. Non ci sono bambini in Mononoke ed è sintomatico; l’omaggio di Miyazaki è a misura d’uomo e i due personaggi principali Ashitaka e San, proprio in virtù di tanta intransigenza, entrano subito in conflitto perché il loro è uno sguardo sulla storia “puro” e dubbioso. Lui è colpito da maledizione, emarginato dalla società per questioni di stirpe (appartiene agli Emishi, ripudiati dal potere imperiale) ed è il filo rosso della memoria con il presente. Lei, la ragazza mononokehime, autentica icona di sensualità del cinema miyazakiano, è la soluzione di continuità fra l’uomo e la Natura.
Nello stesso istante in cui Princess Mononoke diventa il record d’incassi che sappiamo, qualcuno alla Disney si sfrega le mani. È DavidJessen, uno dei guru della major, interessato alla distribuzione del kolossal dopo l’accordo firmato nel giugno 1996 tra Buena Vista International e Tokuma circa l’acquisizione dei film dello Studio Ghibli. Per l’adattamento americano servono due anni di lavoro: i dialoghi sono affidati al disegnatore Neil Gaiman e supervisionati dal regista; la scelta dei doppiatori ricade su nomi di prestigio hollywoodiano: Claire Danes (San), Billy Crudrup (Ashitaka), Billy Bob Thornton (Jigo), Minnie Driver (Lady Eboshi), Gillian Anderson (Moro) e Jada Pinkett-Smith (Toki). Prima di affrontare il pubblico, il film viene invitato al Festival di Berlino ‘98, dove riceve una accoglienza trionfale perfino dalla critica italiana. Quando invece raggiunge le centoventi sale americane, Princess Mononoke incassa a malapena 2 milioni di dollari, seguito dal disastroso trattamento italiano (350 milioni di lire).  
 
A beautiful mind
La riuscita di La città incantata (2001) deve invece tutto alla figlia di un amico del regista. È il 1998 e Miyazaki, alle prese con il successo di Princess Mononoke, è in cerca di un nuovo soggetto per il prossimo film. Lo immagina misterioso, ambientato in una pittoresca stazione termale, un’occasione preziosa per rivolgersi a un pubblico di ragazzine, come la bimba che frequenta il suo cottage di montagna assieme alle nipotine, abituali lettrici di shojo manga. Per fortuna è anche un ammonimento a se stesso e a quanto realizzato in precedenza: «Abbiamo realizzato Totoro per il pubblico di giovanissimi; con Laputa abbiamo raccontato l’odissea di un ragazzino e in Kiki’s Delivery Service abbiamo mostrato una maghetta adolescente che doveva cavarsela da sola», ha confidato Miyazaki in un’intervista. «Ma non abbiamo mai pensato a un film per le bambine di dieci-undici anni che vivono i primi passi della loro adolescenza».
Deve essere per questo che tutti lo adorano: a nessuno verrebbe mai in mente di contrariare ogni sua scelta. A parte il produttore Toshio Suzuki che da principio gli boccia un soggetto dopo l’altro prima di approvare la versione definitiva di La città incantata. Neppure adesso, nonostante il successo sfacciato, Hayao Miyazaki è in grado di garantire a una sua idea di raggiungere incolume il capolinea. Ma nonostante i brontolii di Suzuki, gli è sempre andata di lusso. A quattro anni dalla foresta incantata di Mononoke, fa un figurone il kolossal con l’inconsapevole viaggio di Chihiro, ragazzina insicura di 10 anni, dal mondo degli uomini a quello degli dèi. Per una serie di misteriose coincidenze la bambina si trova, assieme ai genitori, in una città apparentemente abbandonata e mentre curiosa per le vie iniziano a capitare strane cose. I genitori, lasciati ad abbuffarsi in un ristorante, sono trasformati in maiali da un incantesimo e per le strade del piccolo borgo compaiono ombre e inquietanti demoni di ogni forma e colore. A una inorridita Chihiro appare un giovanotto di nome Haku che sostiene di conoscerla sin dall’infanzia. Le confida anche che, per non seguire la sorte dei genitori, dovrà mettersi al servizio della direttrice delle terme: un’arcigna strega con un testone enorme di nome Yûbaba, la quale non esita a cambiarle il nome, da “Chihiro” a “Sen” (il cui kanji serve appunto a formare la parola “Chihiro”). Un modo per “dimenticare” il mondo da cui la bambina proviene, dimostrando così totale fedeltà alla nuova padrona.
Non si può dire che non ci abbia provato e riprovato: Miyazaki e l’infanzia hanno formato un binomio invincibile, ma «con La città incantata ho voluto rassicurare il pubblico dicendo loro “non preoccupatevi, alla fine si sistemerà tutto quanto; c’è sempre qualcosa per voi non soltanto al cinema ma nella vita di tutti i giorni”», ha spiegato ancora il regista. «Proprio per questo si è reso necessario avere per protagonista una ragazzina normale, e non qualcuno capace di volare e fare l’impossibile. Qualcuno che possiamo incontrare per strada. Ogni volta che scrivevo o disegnavo qualcosa sul personaggio di Chihiro, domandavo a me stesso come si sarebbe comportata la figlia del mio amico».
Forse perché La città incantatanon è un remake della fantasia miyazakiana, ma un clone. Il primo clone della biografia artistica del regista, in cui attinge materiale dai modelli spettacolari del passato per costruire una grandiosa fiaba al tempo stesso identica e diversa dalla matrice che lo ha prodotto. Un concentrato di fantasia e passione che in oltre 1400 scene dà ospitalità a un nuovo bestiario di creature non sempre derivate dalla tradizione giapponese, e a guest star come i “susuwatari” di Totoro. A rendere la pellicola ulteriormente innovativa provvede poi l’atteggiamento di Miyazaki nei confronti dell’infanzia dei nostri giorni, dove i bambini si dimostrano sempre più insensibili ai sacrifici che i genitori fanno per garantire loro sicurezza e felicità. Ecco perché l’aspetto di Chihiro sembra all’inizio del film più sacrificato che altrove: non ci confrontiamo come in passato con cute girl tipo Kiki o Sheeta, ma con un personaggio culturalmente controcorrente. E, tanto per dare uno stacco ancora più netto, Miyazaki si mette alla prova costruendo una storia in cui Chihiro è costretta a crescere con le proprie forze, senza genitori, per superare l’angoscia di un’infanzia troppo perfetta. La città incantata è destinato insomma a diventare una sorta di “effetto speciale” dei sentimenti umani, sotto forma di kolossal capace di produrre sequenze che faranno la storia del genere.
Un altro importante tassello del suo cinema rimanda alla letteratura per l’infanzia inglese e alla scrittrice Diana Wynne Jones, dalla quale lo Studio Ghibli ottiene i diritti sul romanzo Il castello magico di Howl (Kappa Edizioni) che Miyazaki trasforma – a modo suo – in una spettacolare pellicola nel 2004. Siccome dopo la notorietà del Premio Oscar tutti vogliono il sulfureo regista giapponese, il solo a spuntarla è Marco Müller – il direttore della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – capace non solo di presentare questo film in anteprima europea al Lido, ma di offrire a Miya-san il ruggito di un Leone d’Oro alla carriera.
Il film, storia della giovane Sophie trasformata in vecchietta che fa conoscenza e si innamora del mago Howl, è un altro capitolo colorato e irrefrenabile del Nostro. Un film di due ore che parla di guerra, di rapporti interpersonali e d’amore (con tanto di bacio da scombinare le coordinate di ciascun spettatore!). Tutto, a partire dalle invenzioni grafiche ai personaggi, ci restituisce il profilo di un autore con molto ancora da dire e fare. Abile a combinare animazione tradizionale e trovate fatte al computer per stare al passo coi tempi ma senza esagerare. Insomma: un piccolo capolavoro finalmente passato nei cinema italiani e con doppiaggio all’altezza delle richieste pressanti degli appassionati.
 
In fondo al mar
Il 19 luglio 2008 è atteso nei cinema giapponesi Gake no ue no Ponyo (Ponyo sulla scogliera), decimo film di Hayao Miyazaki a cui MAN?GA! ha dedicato una bella anteprima proprio su questo numero. Si tratta di una rivisitazione molto giapponese (o meglio: molto miyazakiana) della storia de La sirenetta di Hans Christian Andersen, già passato più volte su grande schermo (dal classico Toei Animation al gustoso cartoon-musical della Disney). Ma questa volta è diverso. Non solo perché a occuparsene è un campione della fantasia come Miya-san, piuttosto perché dopo tante traversate fra le nuvole e voli spettacolari, l’azione e lo sguardo si perderanno nelle profondità marine da dove se ne viene fuori la piccola Ponyo. Pronta a conoscere e confrontarsi con il mondo degli umani, tramite il piccolo Sosouke: personaggio che il regista ha detto di aver creato ripensando a quel discolaccio del figlio Goro, con il quale è ai ferri corti dopo la criticata regia di I Racconti di Terramare (2006).
Le prime immagini del film fanno correre l’acquolina in bocca e lasciano ampi margini all’immaginazione sul come sarà il nuovo universo di fantasia di Miyazaki, visto che – ha fatto sapere – gran parte dell’azione di Gake no ue no Ponyo si svolgerà in mare.
Di sicuro c’è il ritorno a un cinema formato bimbo che a molti ricorda Totoro e a vent’anni esatti dalla nascita di quel capolavoro i fan possono solo sperare di ottenere qualcosa di avvincente, poetico e al solito… di molto geniale.
Creatura aliena, anticonformista per vocazione, autore sempre più capace di attirare su di sé l’attenzione dei media, Miyazaki resta tuttavia un uomo fedele al suo tempo e alla nostalgia per l’animazione che fu. Come se la caverà, dunque, dopo lo strepitoso bottino raccolto al box-office da La città incantata e da Il Castello errante di Howl con il nuovo Ponyo pronto a sconvolgere di blu i sogni dei suoi più fedeli ammiratori?
 
GHIBLI, UNO STUDIO IN FERMENTO
Il momento è cruciale per lo Studio Ghibli. Nel 2006 è uscito I racconti di Terramare (2006), tratto da un romanzo di Ursula K. Le Guin e diretto niente meno che dal figlio di Miyazaki, Goro, fino all’altro ieri direttore del Museo d’Arte Ghibli. Scelta che ha irritato non solo il famoso babbo ma anche diversi animatori dello Studio. Il 19 luglio è atteso Gake no ue no Ponyo, il nuovo film del regista sessantasettenne. Con i grandi trionfi alle spalle, anche un semplice successo potrebbe risultare vincente, o scottargli come un flop. Una prova del nove anche per il nuovo direttore che è andato a sostituire Toshio Suzuki.
Fondato nel 1986 lo Studio Ghibli doveva inizialmente fornire sostegno alla produzione dei film di Miyazaki e Takahata. Anche se Miya-san ha spesso nutrito dubbi circa la sua reale capacità a tenere testa allo stress di produzioni qualitativamente impegnative. Direttore dello studio sino a febbraio 2008, Toshio Suzuki ha cercato spesso nuove personalità su cui scommettere per il futuro. Nel ‘93 ad esempio ha prodotto il Tv Movie Umi ga kikoeru (Si sente il mare) diretto da Tomomi Mochizuki. In accordo con Miyazaki ha affidato la regia del film Mimi o sumaseba (Se drizzi le orecchie, 1995) all’amico di sempre Yoshifumi Kondo. Il risultato è sorprendente e in linea con lo “stile Ghibli” che si desidera perpetuare. Kondo è designato subito erede di Miyazaki ma un aneurisma se lo porta via ad appena 48 anni lasciando amici e colleghi nello sconforto. Deciso a ritirarsi, Miyazaki è così costretto a riprendere in mano le sorti dello studio con i risultati che sappiamo. Quasi a voler scoprire l’identità del fantomatico e tanto ricercato erede (che non esiste, sia chiaro), Suzuki apre le porte ai giovani. Si producono corti (Ghiblies), si accettano collaborazioni esterne e si realizzano perfino spot pubblicitari. Nel 2002 al disegnatore Hiroyuki Morita viene affidato Neko no Ongaeshi (Il gatto che restituì il favore), modesto mezzo sequel di Mimi o sumaseba. Nel frattempo l’altra faccia dello studio assume la forma di un Museo interamente concepito da Miya-san: un luogo dove poter sognare e tornare bambini. È qui che si svela il probabile futuro del regista, incentrato sulla produzione di cortometraggi pensati solo per questa struttura edificata a pochi metri dallo Studio. Oltre a un breve seguito di Totoro, intitolato Mei to Neko-bus (2002), hanno visto la luce The Whale Hunt (2001), Koro’s Big Day Out (2001). Tra gli ultimi arrivi si segnalano: Yadosagashi (Alla ricerca di una casa, 2005), Mizugumo MonMon (MonMon, il ragno d’acqua, 2005) e Hoshi wo katta hi (Il giorno in cui ho catturato una stella, 2005).
 
MAESTRI, COLLEGHI ED EREDI MANCATI
 
Yasuo Otsuka (1932)
Chi è: co-fondatore di Toei e animatore di eccellente talento e maestria. I fan lo amano per il Lupin televisivo. Oggi insegna tecniche d’animazione presso Telecom Animation Studio. Colpo di fulmine: la scena dell’inseguimento in Fiat 500 nel film Il castello di Cagliostro (1979). Ha scritto un libro sulla sua attività di animatore.
 
Yasuji Mori (1925-1992)
Chi è: altro veterano Toei, passato a lavorare alla Nippon Animation. È considerato da Miyazaki il suo vero maestro, colui che gli trasmise grande passione per il disegno, le scene d’azione e quel tratto dolce del volto che avrebbe fatto la fortuna con i personaggi più celebri del regista. Muore nel 1992.
Colpo di fulmine: la scena dell’abbordaggio in Gli allegri pirati dell’Isola del Tesoro (Dobutsu Takarajima, 1972), un mix esplosivo di azione e divertimento. Nibariki ha pubblicato un volume su di lui, che segue a ruota il bel volume realizzato da Anido.
 
Isao Takahata (1935)
Chi è: maestro e mentore di Miyazaki, prima di venire superato dall’allievo. I due si rispettano, condividono passioni comuni ma guai a fargli domande sul collega… Pare essere tornato finalmente al lavoro su un nuovo film.
Colpo di fulmine: la scena in cui Seita contempla il rapido passaggio della morte sul corpo della sorellina Setsuko in Una tomba per le lucciole (1988). Sul lavoro di regista e sul cinema di animazione ha scritto diversi libri. C’è anche un poderoso volume di 400 pagine sul suo cinema edito da Guaraldi/Cartoon Club e scritto da Mario A. Rumor (The Art of emotion – Il cinema d’animazione di Isao Takahata).
 
Yoshifumi Kondo (1958-1998)
Chi è: il fidato character designer di tante produzioni televisive e di tutti i film Ghibli. A lui si devono i volti dei personaggi scaturiti dalla fantasia di Miyazaki e Takahata. Nato professionalmente presso lo studio A-Production, ha lavorato in Lupin III e collaborato con Nippon Animation. Stimato autore di illustrazioni, ha debuttato nella regia con Mimi o sumaseba (1995).
Colpo di fulmine: il volto luminoso di Anne Shirley in Anna dai capelli rossi (1979).
 
Yoichi Kotabe (1934)
Chi è: animatore e celebre character designer in Heidi e Marco. Ha lavorato in Toei Doga, per poi prestare il suo talento a diverse altre società. Con Miyazaki ha collaborato a Nausicaä e con Takahata nei film Hols, Una tomba per le lucciole e Pompoko. Attualmente stipendiato dalla Nintendo, ha firmato i film della serie Pokémon. È stato sposato alla animatrice Reiko Okuyama, scomparsa nel 2007.
Colpo di fulmine: il design semplice realizzato per la pastorella Heidi.
 
Princess Mononoke: © 1997 Nibariki/TNDG
La città incantata: © 2001 Nibariki ? TGNDDTM
Il castello errante di Howl: © 2004 Nibariki · GNDDDT
 

 
 
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