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Approfondimenti

Una tomba per le lucciole

Altro grande anniversario, ben venti anni, per lo struggente film sulla guerra e sull’infanzia riconosciuto come il grande capolavoro di Isao Takahata
 
1945. Seita e Setsuko sono due orfani che hanno perso la mamma durante una delle incursioni aeree dei B-29 americani sulla città di Kobe. Il padre, ammiraglio della Marina Giapponese, non dà più notizie di sé. Si vocifera che l’intera flotta sia stata spazzata via dal nemico.
Non sapendo dove andare, poiché anche la loro bella casa è bruciata negli incendi seguiti ai bombardamenti, Seita conduce la sorellina da una zia. La donna tuttavia prende a trattarli con disprezzo e disinteresse, mentre è accomodante con altri sfollati ospiti in casa poiché – ecco la fondamentale differenza – essi “almeno lavorano per la patria!”. Insofferenti nei confronti di quella situazione, i due decidono di trasferirsi in una grotta in riva a uno stagno ma, in assenza di cibo e adeguate cure mediche, proprio Setsuko si indebolisce e muore. Il fratello Seita, disperato ne brucia i resti e li porta con sé, nella confezione di caramelle Sakuma appartenuta alla bambina. Quindi si lascia morire piano piano, esalando il suo ultimo respiro nella stazione di Sannomiya con gli americani ormai alle porte. L’ultima immagine dei due orfanelli è quella di loro stessi, fantasmi, mentre osservano la Kobe moderna sfavillante di luci e neon.
 
Facciamo un film sulla guerra?
Si aggira il dramma della colpa e dell’ineluttabilità del destino nel film Una tomba per le lucciole (Hotaru no haka, 1988), così forte e pregnante quasi come nelle pagine dell’omonimo romanzo di Akiyuki Nosaka scritto nel 1967.
Il libro fu affidato entusiasticamente da Toshio Suzuki, direttore dello Studio Ghibli, a Isao Takahata affinché tornasse al cinema d’animazione in veste di regista, ruolo in cui mancava ormai da ben sei anni nonostante avesse prodotto i film del collega Hayao Miyazaki Nausicaä (1984) e Laputa – Castello nel cielo (1986). Un anno prima di gettarsi nella lavorazione della Tomba, Takahata era riuscito a farsi produrre, grazie alla società Nibariki del giovane collega, quel sontuoso documentario (2 ore e 45 minuti) intitolato Yanagawa Horiwari Monogatari (Storie del canale di Yanagawa, 1987) in cui aveva preso cinematograficamente a cuore il tran tran quotidiano di una cittadina del Giappone. Di quel film solitamente nessuno si ricorda, tranne i critici e il sindaco della città. Ma per Takahata fu un’esperienza importante e costruttiva. Ideale sfogo creativo per il suo ego multiforme.
C’era tuttavia tanta voglia di rimettersi in gioco con l’animazione per diverse ragioni: le serie televisive non lo attiravano più in ambito professionale, inoltre ragionava in continuazione sul fatto che i film dell’amico Miyazaki (ora, drasticamente ex allievo) avevano saputo  ritagliarsi un posticino di riguardo fra gli appassionati e, in alcuni casi, portandosi a casa pure un dignitoso incasso. La regia cinematografica era apparsa una strana circostanza per lui dopo le prove e i malcontenti vissuti alla Toei Doga: nel 1981 aveva diretto Jarinko Chie, prodotto da Tokyo Movie Shinsha, più per cortesia nei confronti dell’amico Yasuo Otsuka e del collega Yoichi Kotabe che lo avevano voluto nello staff. La sola regia di rilievo (per lui) era stata quel Goshu il violoncellista (1982) da un racconto di Kenji Miyazawa, che per volontà di tutti – compreso l’anziano fratello dello scrittore – doveva restare un appuntamento per pochi, scuole e manifestazioni culturali del suo Paese comprese. Insomma, niente distribuzione nazionale ben reclamizzata.
In quel periodo lo Studio Ghibli non era l’istituzione solida e potente di oggi, però nella stanza dei bottoni c’era già Suzuki in veste di direttore e membro del comitato di produzione. A Takahata viene chiesto di realizzare proprio per lo studio un film ambientato durante il secondo dopoguerra, ma non si sa ancora quale soggetto possa essere idoneo per lui.
Di nuovo, la storia che si cela dietro le personalità dei due celebri registi deve moltissimo alle trattative e all’indiscusso fiuto negli affari dell’ex redattore di Animage. È sua l’idea del romanzo breve Hotaru no Haka, un libro che aveva venduto oltre un milione di copie. Ma tra i progetti di quel 1987 c’è ovviamente Tonari no Totoro di Miyazaki. Se da una parte alcuni non vedono di buon occhio il progetto del folletto miyazakiano, Suzuki punta arditamente al rilancio proponendo di realizzare la Tomba assieme al cortometraggio di Totoro, unendo nella lavorazione uno stesso staff. Mancano soltanto i milioni di yen necessari e il prode direttore va a chiederli alla Shinchosha, casa editrice del romanzo di Nosaka, che era parecchio interessata a gettarsi nella produzione di film ispirati al proprio parco titoli. Con un’abile dialettica, la stessa che anni prima era servita a smuovere i vertici di Tokuma per assicurarsi il budget necessario per fare Nausicaä, Suzuki ottiene subito il consenso dalla casa editrice e il budget necessario per un’ora abbondante di film. Convince così lo studio ad avvallare entrambi i progetti, che saranno proiettati simultaneamente nelle sale. Anche qui conosciamo la fine della storia: Totoro diventa lungometraggio a tutti gli effetti, Una tomba per le lucciole si gonfia anch’esso fino a raggiungere gli 88 minuti di durata, ma al traguardo finale arriverà incompleto (scene non finite o tagliate). L’incasso si aggira intorno ai 588 milioni di yen e la versione definitiva gli appassionati la ritroveranno in videocassetta.
 
Un film difficile
Proprio per assecondare la fama da intellettuale e sperimentatore (vedi: Tonari no Yamada-kun del 1999), Isao Takahata è profondamente perplesso al momento di realizzare il film. Vorrebbe tentare qualcosa di mai visto prima, però mancano i soldi e il tempo è stringatissimo (la lavorazione inizia nel febbraio 1987, il film dovrà essere pronto per aprile 1988).
Il guaio più grosso è il caos produttivo di mandare avanti due film totalmente differenti, la fiaba di Totoro e un film realistico come Una tomba per le lucciole. Takahata, che è un regista esigente e severo, ha assolutamente bisogno di gente esperta al seguito e riesce a convincere il compianto Yoshifumi Kondo (1950-1998) che stava lavorando alla Nippon Animation alla serie Una per tutte, tutte per una (Ai shojo monogatari, 1987) a firmare il character design del film e a supervisionare le animazioni. Nello staff viene assunto anche Hideaki Anno al quale dobbiamo le scene con i B-29 americani. Altra manodopera verrà integrata grazie al sostegno di Toru Hara dello studio Topcraft, con il quale Miyazaki aveva fatto Nausicaä. Tutta la fase pre-produttiva aveva visto Takahata recarsi a Kobe per la documentazione: ogni aspetto del film doveva essere riprodotto nel dettaglio, non solo nella cura dei particolari ma anche delle cose in apparenza banali o secondarie (come la scatola di caramelle Sakuma). Sotto questo profilo Una tomba per le lucciole è uno straordinario lavoro e il suo estremo realismo lo rendono tuttavia il film più lontano dalla tradizione di casa Ghibli. E di questo aspetto proprio il grande pubblico si accorgerà il giorno della doppia proiezione.
Se la pellicola lascia emozioni contrastanti nello spettatore, una volta presentata fuori dal Giappone il moto dei consensi si fa sempre più irrefrenabile. In Francia arriva già nel 1992, in Italia la prima è organizzata nell’ambito del festival “Cartoombria” nel 1995 per quindi affrontare con successo il mercato dell’home video. Venti anni dopo la sua nascita, il film di Takahata è uno dei film ancora più amati. Difficile e problematico per la sua crudezza, eppure è uno dei pochi film a conservarsi intatto durante le proiezioni. Come se per lo spettatore fosse la prima volta.
 
© 1988 Akiyuki Nosaka/Shinchosha Co.

 
 
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