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Recensioni

Lupin III e Il castello di Cagliostro

Ci sono animazioni e animazioni.
Animazioni che servono esclusivamente a illustrare una storia, Animazioni che servono a raccontarla e Animazioni che hanno il loro senso di esistere indipendentemente dalla storia che pur raccontano.
La seconda pellicola del ladro in giacca verde, quella del 1979, quella che venne presentata ufficialmente, per intenderci, al festival di Cannes, fa parte dell’ultima categoria.
 
Una miriade di banconote false che volteggiano leggiadre e sparse sopra il mare.
Una dolcissima e calda musica prende il via, note del compositore Yuji Ohno ci terranno compagnia per un paio di minuti, giusto il tempo di una delle più belle e rappresentative “ouverture” di un’opera cinematografica.
Campi in aperta distesa campagna, con strette stradine rurali costeggianti delle risaie riprese in contemplativi campi lunghi, riprese dal basso di una stradina sempre campagnola, dispersa nel nulla della vegetazione, con la Fiat 500 gialla costruita da Dante Giacosa, minuta e tozza che aspetta paziente e borbottante davanti a un solingo passaggio a livello, sotto un tramonto bello da piangerci.
O ancora, Lupin e l’amico Jigen seduti sotto degli alberi, tutti intenti a cucinarsi delle uova sopra una padella, o mentre entrambi disinvoltamente e gattonescamente fanno pipì sul ciglio di una stradina abbandonata, o infine, con inquadratura da dietro le silhouette dei due, proprio come nei western, Jigen e Lupin rientrano nella piccola 500, dopo aver inspirato a pieni polmoni l’ultima cicca, le luci della targa didietro della macchinina si accendono, quest’ultima bofonchiando riparte, è ormai sera sulle montagne, e si profila sullo sfondo la sagoma oscura del castello di Cagliostro.
 
Mai presentazione oleografica era stata più esaustiva, rappresentativa e sintetica di un modo di fare regia, di un regista, e di un personaggio.
Un modo di fare regia e di narrare che benissimo potrebbe essere presa per “quadri” significanti di per sé, anche presi singolarmente, uno per uno, a scene, tante piccole scene, “pieces”, collegate dalla storia generale, ognuna caratterizzata da un livello altissimo di controllo della materia disegnata, dei corpi, di ciò che è rappresentato e perciò visto sullo schermo.
L’incontro tra Clarice e Lupin, nella penombra della cupola/salone dove la triste ragazzina è rinchiusa dal conte è l’incarnazione perfetta di un fantomatico “atto teatrale assolo”, una “piece” messa in scena solo per noi spettatori, in cui il tema di Yuji Ohno, questa volta, a differenza dell’inizio, è sentito solo strumentalmente, e ha una importanza fondamentale per delimitare emozionalmente l’inizio e la fine della scena.   
La scena immediatamente successiva all’ouverture è ugualmente rappresentativa in questo, almeno all’inizio, poi diventa rappresentativa di un certo modo di fare “animazione totale”.
L’inseguimento tra una Hambersupersnipe guidata dalla forza armata del conte, e una Citroen 2CV color violetta dove una giovane fanciulla è rifugiata, tra strade scoscese per le montagne, tra dirupi e strapiombi.
In questo inseguimento, si immischia anche la 500 gialla.
“Per chi stiamo?” verrà chiesto quasi retoricamente
 “Ma per la fanciulla ovviamente!” verrà risposto, e allora un’elica potentissima uscirà fuori dal retro della macchinina, facendola sfrecciare oltre ogni limite, oltre ogni barriera della rappresentazione visiva.
 
Ed è qui che la demiurgia animata fa il resto.
 
L’animatore Katsuhide Tomonaga (che lavorò ancora per Lupin III - La cospirazione dei Fuma del 1987) qui tende al massimo la resistenza fisica degli oggetti, dello spazio e soprattutto del peso specifico dei corpi.
Questi ultimi, pur avendo peso, si deformano, rimbalzano, compenetrano con altri corpi (lo sfrondamento tra gli alberi della cinquecento, con uccellini e uova comprese che entrano dai finestrini) non perdendo però mai la sottile, ma sempre ben presente, sospensione dell’incredulità spettatoriale.
Demiurgia animata, ogni elemento della messa in scena è perfettamente controllato nelle sue più profonde possibilità espressive, che sia un piccolissimo ramicello, che sia il colletto della camicia di Lupin che svolazza nel vuoto all’aria in improponibili e sublimi arabeschi di movimento (assolutamente impossibili da “controllare” in una scena di un film live), tutti significanti una sola e precisissima cosa: la profonda ed etica libertà del movimento animato.
Il corpo di Lupin che deve assolutamente arrivare da un tetto all’altro dell’altissimo, e a strapiombo, castello, viene “invasato” di una forza e una irrequietudine senza pari.
La caduta che diventa una rincorsa ai confini dello spazio scenico sul tetto del castello, fa pensare quanto il movimento in questo film non sia tanto rappresentazione di linee cinetiche disegnate, ma un insieme di corpi in completo e totalizzante movimento, che si agitano, che producono una miriade di rodovetri disegnati, una vera e propria performance fisico/animata.
Corpi in perenne movimento animato quindi, in movimento, in viaggio, come gli amici della pellicola, da un Giappone iperpopolato a un oleografico paese europeo sperduto tra i monti, che ricorda per armonie cinefile (ed esplicitamente dichiarate) Le Roi et l’Oiseau di Paul Grimault tra tutti, ma anche certe rimembranze cinefilo-romanzesche da personaggi quali Za La Mort.
Un viaggio che Miyazaki e Yasuo Otsuka, storico direttore dell’animazione (anche in questa opera) e padre spirituale per il giovane Hayao hanno fatto, davvero.
Amici che hanno compiuto il giro di mezzo vecchio Giappone con una cinquecento scassata (di Otsuka) uguale a quella di Lupin e banda, un “viaggio” verso l’animazione totale e totalizzante doppiamente significativo quindi, mix di ricordi ed emozioni ‘animate’, ‘in viaggio’, in perenne movimento, che ripropongono non solo ai personaggi, ma all’animazione giapponese intera, un viaggio verso nuovi lidi di qualità animata, di profondità ed “etica” del movimento.
Lupin III - Il castello di Cagliostro (Rupan sansei, Cagliostro no Shiro) è tutto questo, il viaggio di un gruppo di animatori guidati da un veterano pioniere di nome Yasuo Otsuka, e dal talento visionario di un giovane regista con tanta voglia di dire la sua.
Viaggio per cui non abbiamo ancora smesso di ringraziare, ventotto anni dopo.
 
Buon Viaggio (Animato) !      
 
di Davide Tarò
 
 
 
“LUPIN THE 3RD, THE CASTLE OF CAGLIOSTRO”
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