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Interviste

Andrea Baricordi racconta Monkey Punch e Lupin III

Con Cagliostro nei cinema, l’uscita delle due collection di DVD e progetti legati ai fumetti, ho come l’impressione che a Lupin III manchi solo la Laurea Honoris Causa. Quarant’anni come personaggio e non sentirseli addosso, dunque?
Ormai Lupin è un personaggio senza età come Topolino o Superman. Nato negli anni Sessanta, divenuto popolare negli anni Settanta, ‘sequelizzato’ negli anni Ottanta, ha ottenuto la sua conferma definitiva scavalcando indenne con un solo passo gli anni Novanta e il millennio stesso. Ormai non lo butta più giù nessuno. È il vantaggio delle icone: possono permettersi di attraversare i decenni attualizzandosi per piacere alle nuove generazioni, ma senza tradire le origini. E creare un’icona è tutt’altro che facile: o la studi a tavolino, o la crei per istinto. Il caso e la fortuna non c’entrano nulla.
 
Inoltre parliamo di un personaggio “della TV” come non se n’erano mai visti prima. Il tuo primissimo incontro con Lupin?
Una piacevole mattonata in fronte. Il giorno prima era probabilmente finita un’altra serie animata che stavo seguendo, e volevo vedere cosa fosse questo Lupin III che avevano annunciato in sua sostituzione: anni prima ero un fan del telefilm Arsenio Lupin con Georges Descrières, e quindi ero molto curioso di vedere un cartone animato basato su quel personaggio. Non capivo cosa fosse il “terzo”, e mi chiedevo se per caso non mi fossi perso un “secondo”, magari trasmesso a mia insaputa. E poi… BANG! Un colpo di pistola, la spettacolare sigla “Planet O” (una delle poche che non aveva nulla a che fare col cartone animato relativo, insieme a “It takes me higher” di Gaiking) e le immagini della folle gara automobilistica del primo episodio. Un vero e proprio telefilm fatto a cartoni animati, con atmosfere simili a quelle dei film d’azione degli anni Settanta, e personaggi che si facevano pochissimi scrupoli. Mai vista una cosa simile! E poi la scena di Fujiko con la tortura del solletico, tette al vento… altra immagine iconica rimasta nella mente di tutti. Era ora di cena (all’epoca i cartoni andavano in prime time, gente!) e stavo guardando la tv coi miei. Immagina il mio imbarazzo durante quella scena. Ma i miei ci hanno riso su, invece di dirmi “che roba guardi, sporcaccione?!”: in definitiva, è grazie a loro se oggi sto lavorando in questo settore. Non mi hanno mai ostacolato, e seguivano con me alcune delle serie più belle trasmesse allora. Lupin III era ‘multigenerazionale’ già alla prima sua apparizione.
A proposito di Georges Descrières: nel primo episodio c’è una scena in cui Lupin III gli assomiglia molto, quella in cui è vestito da idraulico e sorride in faccia al custode, per poi sganciargli una martellata in testa. Sarà un caso? O l’ho vista solo io, questa somiglianza?
 
A monte di tutto ci sta il fumetto di Monkey Punch. Avresti mai immaginato che un giorno saresti riuscito a pubblicarlo, assieme ai Kappa boys? Ci vuoi raccontare l’avventura editoriale legata a questo personaggio e al suo autore?
Quando vidi Lupin III la prima volta in tv, non avevo la minima idea che ne esistesse la versione a fumetti. Poi, alla fine degli anni Ottanta, abbiamo scoperto un sacco di cose grazie ai nostri ‘amici di penna’ nipponici (che all’epoca erano l’unico collegamento col Sol Levante, visto che Internet era ancora fantascienza), fra cui il manga originale di Monkey Punch. Era stranissimo per gli standard a cui eravamo abituati in Italia, ma dato che si trattava di un’epoca pionieristica, abbiamo subito iniziato a pensare di portarlo in Italia in qualche modo. Non esistendo case editrici di manga in Italia, in quel periodo, lo abbiamo presentato sulla nostra fanzine, “Mangazine”, che – segno del destino? – lo raffigura proprio sulla cover del primo numero. Negli anni a venire non siamo riusciti a portarlo nel nostro Paese attraverso Granata, ma appena approdati in Star abbiamo dato il via all’esperimento, iniziando con uno speciale per sondare il terreno, per poi procedere prima con la serie più recente, poi con i volumi ‘classici’, dove il tratto è talmente underground e occidentaloide da renderlo difficilmente inquadrabile come fumetto giapponese a prima vista.
E così, io e gli altri ‘Kappa boys’ (Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni, Barbara Rossi) abbiamo avuto la fortuna e il piacere di conoscerne personalmente l’autore, Kazuhiko “Monkey Punch” Kato, nel suo studio fuori Tokyo. Complice il mancato arrivo dell’interprete, abbiamo dialogato per due orette buone destreggiandoci fra pseudo-giapponese e proto-inglese, a gesti, onomatopee, grammelot di espressioni multilingue, disegnini e pernacchie varie, e ci siamo capiti perfettamente, divertendoci come matti. È nata una sintonia difficile da spiegare: basti dire che quando ci ha detto “ma pensa, i miei editor italiani potrebbero essere miei figli” a momenti ci mettevamo a piangere come vitellini da latte. Un’esperienza irripetibile, giuro.
 
Poi è giunta un’avventura in più: Alis Plaudo disegnato da Punch su sceneggiatura vostra a cui è seguita la serie dei Lupin disegnata da autori italiani. A memoria di fan, mai era accaduta una simile circostanza: ovvero, un personaggio dei manga che passasse di mano con la benedizione del suo più diretto ideatore…
Forse è proprio per l’affinità personale con l’autore che abbiamo tentato un’impresa apparentemente impossibile. Per il lancio in Italia del manga originale di Lupin III lo avevamo invitato alle fiere di Lucca e Treviso, e in più gli abbiamo chiesto di realizzare una storia ex novo – decenni dopo che non toccava più il personaggio – e di ambientarla in Italia, proprio a Lucca, dove per l’occasione si sarebbe tenuta anche una mostra a tema. Accettò volentieri, ma dato che non conosceva la città, ci chiese di scrivergli soggetto e sceneggiatura, fornendogli un po’ di documentazione fotografica. Praticamente come se Schulz ti fosse venuto a chiedere “senti, non è che mi scriveresti i testi di una decina di strip di Charlie Brown?”. E così abbiamo scritto tutti insieme Lupin III: Alis Plaudo per Monkey Punch. Roba da matti.
Qualche anno dopo, ricco di altre esperienze fumettistiche, mi venne la balzana idea di tentare l’intentabile. Dopo un luculliano pranzo di Ferragosto a casa di Vanna “Bambina Filosofica” Vinci, buttai lì che sarebbe stato divertente continuare in Italia le avventure di Lupin III dal punto in cui Monkey Punch le aveva interrotte anni prima. Lo proponemmo l’autunno stesso all’autore, lui disse sì, e nel 1999 vide la luce il primo Lupin III ‘italiano’, Il Violino degli Holmes, disegnato da Gianmaria Liani, che già aveva dato prova di ‘lupinosità’ in Lambrusco & Cappuccino, il cui tratto e i cui personaggi (uno dei due protagonisti è un mix tra Lupin e Jigen!) convinsero Monkey Punch.
Sapendo ormai che eravamo tutti fan di Lupin di vecchia data, deve essersi sentito piuttosto tranquillo su come avremmo trattato il suo personaggio. Come ormai è risaputo, ci chiese solo poche cose: che fosse idealmente riportato allo stile narrativo delle origini, che si rifacesse più alla ‘continuity’ del manga che a quella dell’animazione (che nel frattempo aveva perso un po’ di smalto e ‘cattiveria’) e che Fujiko fosse… ‘abbondante’. Dopo aver visionato la caratterizzazione grafica dei personaggi realizzata da Liani, e dopo aver letto il soggetto dettagliato, ha dato l’ok, e io ho potuto occuparmi della sceneggiatura in completa libertà. Una meraviglia. Poi è venuta la serie Lupin III Millennium: consapevoli di questa libertà quasi totale che ci era stata concessa, abbiamo sentito il dovere (e il piacere) di realizzare qualcosa che fosse sempre in linea con lo stile dell’autore originale, e di volta in volta lo abbiamo sottolineato coi disegni, con la storia, con qualche trovata o con citazioni più o meno smaccate. E oggi eccoci qui a festeggiare il quarantennale di Lupin III insieme a lui. La cosa interessante, è che molti di noi iniziano ad avere praticamente la stessa età di Lupin. Io, per esempio, sono più giovane del nostro ladruncolo di appena un anno. Ma lui li porta molto meglio di me. Dannazione.
 
Anche in Giappone Lupin III esiste per mano di altri artisti. Mi sembra di capire che ormai esista una concezione editoriale del personaggio tutta nuova, ma che non esclude del tutto dai giochi Monkey Punch. È così?
Non solo. Monkey Punch è attualmente all’opera per rientrare in possesso di tutti i diritti legati al suo personaggio, animazione compresa. Anche oggi, qualsiasi evento che abbia a che fare con Lupin III necessita della sua approvazione, che concede in base a poche regole ben precise, ma con un entusiasmo senza eguali. Legge i progetti, li commenta, ci scherza su, fa domande per ottenere chiarezza, e non ti mette mai in imbarazzo. Semplicemente vuole essere sicuro che storia e disegni siano all’altezza delle aspettative. E quando non è rimasto particolarmente soddisfatto da un prodotto del passato – quando ancora doveva sottostare ai voleri di editori e produttori – non si fa problema a dirlo. E lo fa ridendo.
 
Ci vuoi parlare di lui, Monkey Punch? Chi è l’uomo e chi è l’artista? Soprattutto: che effetto fa essere accolti in casa da una celebrità del fumetto?
Noi non ci potevamo credere, ovviamente. Già trovarci di fronte all’autore di Lupin III era per noi qualcosa ‘ai confini della realtà’. Magari oggi farà sorridere, dato che molti autori si presentano in Italia a fare autografi e disegni… All’epoca, si vedevano pochi giapponesi in Italia (turisti a parte), quindi figurarsi un autore: puoi immaginare l’emozione e lo stupore di arrivare in casa sua, essere accolti dalla moglie con bibite e dolcetti, giocare con il suo cane, avere il permesso di frugare nel suo studio, fare la conoscenza del fratello (suo assistente), scoprire che si tratta di una persona affabile, gentile e con un grande senso dell’umorismo. Tutto il contrario di certe ‘superstar’ che ci tengono a farti notare quanto in alto siano arrivate. Nel personaggio di Lupin c’è molto di Monkey Punch: il fregarsene degli schemi, il desiderio di risolvere le situazioni puntando sull’ingegno, la capacità a divertirsi nel riuscire (o non riuscire!) nell’intento prefissato, sempre con una sonora risata e con tanta, tantissima autoironia. Un atteggiamento positivo nei confronti della vita come quello di Monkey Punch è la soluzione a tutti i mali. Darei non so cosa per avere un decimo del suo ottimismo e della sua apertura verso il futuro, i nuovi progetti, la tecnologia… Dico: mentre io realizzavo ancora l’adattamento testi di vari manga con la biro rossa su traduzioni cartacee, lui già realizzava illustrazioni in CG e progettava fumetti on-line! A settant’anni ha preso una laurea in informatica, e adesso insegna teoria del fumetto all’Accademia delle Belle Arti! E intanto io devo ancora riuscire a capire in quale punto vada appoggiata la puntina del grammofono sul disco di bachelite.
 
Ti sei mai chiesto la ragione per la quale Punch abbia voluto in qualche misura ritirarsi dal mestiere e puntare su altre forme di intrattenimento?
Non è esattamente così. Monkey Punch è affascinato dalle nuove tecnologie, e studia in continuazione nuovi sistemi per sostenere il fumetto in generale: è esattamente quello di cui parla Scott McCloud nel suo secondo libro, “Reinventare il fumetto”. E intanto, mentre insegna a scuola, è spesso chiamato come testimonial per questioni legate a manga, anime e fiction (di recente è apparso anche nello spot pubblicitario di un network tv, mentre qualche anno fa gli fu chiesto di occuparsi dell’adattamento giapponese de “La morte di Superman”), e intanto vanno avanti i lavori per il film hollywoodiano di Lupin, di cui finora ha rifiutato tre soggetti, e su cui non cede di una virgola (vuole che i cinque personaggi principali ci siano tutti, nonostante “l’ammerigani ce stanno a prova’”). Nel frattempo, però, si dedica a numerosi progetti, che però sono a lunghissimo termine, come Le Mille e Una Notte o Saiyuki, di cui abbiamo potuto vedere gli studi anni fa. È uno che non molla, non importa quanto difficile o impegnativo possa sembrare un lavoro. Se decide di iniziare, si mette all’opera, e buonanotte a tutto il resto, tempistiche, stress e compagnia cantante.
 
Avete pensato di invitarlo in Italia per il quarantennale del suo personaggio? Se non sbaglio, sarebbe il suo secondo viaggio in questo Paese…
Del primo che ricordo hai?
Lo scorso inverno gli abbiamo chiesto formalmente di fare un salto in Italia per festeggiare il quarantennale di Lupin III, e per la prima volta è stato costretto a rifiutare un nostro invito. A malincuore, anche perché l’Italia gli piace parecchio, e ci è venuto più volte anche da turista, in incognito, oltre alle due apparizioni ufficiali (Lucca/Treviso per il primo lancio della serie, poi più recentemente a Romics). D’altra parte non avevamo considerato un fattore fondamentale: ovviamente anche in Giappone sono in corso i preparativi per i festeggiamenti, e lui sarà (è) coinvolto in un tour (de force) non indifferente che durerà fino alla fine dell’anno. Ma non disperiamo: può essere che all’ultimo secondo un paio di giorni per noi riesca anche a trovarli. Altrimenti, posticiperemo tutto all’anno prossimo. Tanto sappiamo che gli fa piacere, quindi…
 
Con Cagliostro nelle sale, la domanda è irresistibile da fare: Monkey Punch non ha mai negato il suo malumore per l’animazione e per questo film in particolare. Secondo te per quale motivo? e come fu convinto a dirigere proprio un film della serie, Lupin III – Dead or Alive?
In realtà il suo malumore è rivolto ai produttori delle versioni animate che agli albori non chiedevano minimamente la sua opinione sullo sviluppo delle medesime. Addirittura il film live action nipponico di Lupin III fu realizzato senza il suo consenso, e benché oggi ci rida su, all’epoca gli causò non poca irritazione. In definitiva, gli unici cambiamenti dell’animazione di cui non è stato particolarmente felice sono due: il colore della giacca di Lupin e la sua auto. Partiamo dall’inizio. Il colore ufficiale della giacca di Lupin è il rosso (come si vede nelle cover dei manga originali e nelle illustrazioni). Ma per lo studio d’animazione era un colore troppo vivace da abbinare a un ladro. Dopo il successo della prima serie tv, Monkey Punch ottenne finalmente voce in capitolo (era passato dal ruolo di semplice autore a quello di ‘maestro’), e fece notare che il suo personaggio non era il tipo di ladro che andava a rubare nelle case di notte, e che quindi non aveva bisogno di colori ‘spenti’ per mimetizzarsi tra le ombre. E che gli eventuali colpi ‘in notturna’ potevano essere effettuati in comode e pratiche tute nere. E così ecco l’arrivo della giacca rossa anche in Tv. Per quanto riguarda l’auto, la Cinquecento è sicuramente uno di quei ‘lasciapassare’ che ha permesso a Lupin di rendersi simpatico a noi italiani. Tuttavia, nella prima serie Tv, l’abbiamo sempre visto nella sua auto d’epoca ‘ufficiale’, e il personaggio ci piaceva comunque: basti ricordare la scena in cui Goemon e Lupin diventano amici dopo esser stati rivali, e in cui la povera viene affettata in due per il lungo… e continua a camminare! La questione, dunque, è da vedere a rovescio: all’epoca gli animatori decisero cambiamenti senza interpellare l’autore. E se fosse successo al nostro Diabolik? In tuta gialla alla guida di una Mini… Per quanto simpatico, non credo che le Giussani l’avrebbero presa bene!
Per quanto riguarda Dead or Alive, invece, ammetto la mia ignoranza: occupandomi quasi esclusivamente di carta stampata, non conosco (quasi) nessuno dei retroscena.
 
La tua prima volta con Cagliostro? Un film da amare alla follia (e non solo per il nome di Miyazaki) oppure con qualche riserva? Hai una scena preferita?
Sì, sì, da amare alla follia, incondizionatamente. Visto in Tv la prima volta, quando Fujiko si chiamava Rosaria e quando la voce di Lupin non era quella ufficiale di Del Giudice (che è la voce di Lupin, benché anche l’altro doppiatore fosse bravo). Superate le questioni ‘italiane’, comunque, è un film bellissimo, ricco di azione, avventura e sentimento, in cui vediamo Lupin in un ruolo nuovo, quasi paterno oserei dire. Mi è rimasto talmente impresso quel Lupin che ho cercato di riprodurlo in una scena di Lupin III: Il Violino degli Holmes, nel dialogo chiarificatore fra il nostro eroe e Sheryl Holmes. Ma la scena preferita è quella dell’inseguimento in auto. Dai, è quella che tutti ricordano, e lo stesso Steven Spielberg ha dichiarato che è la miglior sequenza d’azione automobilistica di tutta la storia del cinema. Ma sono molto affezionato anche alla lunga corsa lungo i tetti che Lupin deve fare, dopo aver rischiato di perdere l’equilibrio: una scena da manuale, che fa morir dal ridere e fa formicolare le mani a chiunque soffra di vertigini.
 
Ricordo alcuni redazionali presenti nell’edizione italiana del fumetto Lupin III, fondamentali per chi volesse conoscere il “dietro le quinte” della serie animata. A tuo giudizio chi e cosa ha reso ultrapopolare un anime che all’epoca era partito male negli ascolti?
Tutti quegli elementi chiave che lo facevano uscire dal semplice cartone animato e che lo inquadravano invece come telefilm. Niente mezzi termini, quel che si doveva vedere, si vedeva, fosse violenza o sesso: ma tutto era (specie nella prima serie) illuminato da una luce ironica e malinconica che aveva il potere di coinvolgere anche il pubblico adulto. Sarebbe facile dire che ebbe successo grazie alle tettone di Fujiko: certo, quello ha contribuito a ottenere successo sulla fascia adolescenziale alle prese con le prime pruderie porno-ormonali, ma hanno contribuito in egual misura personaggi come Jigen (che nel Bel Paese apprezziamo perché in lui riconosciamo gli stereotipi del western italiano guai-a-voi-se-dite-spaghetti-western), Goemon (mai visto un samurai così infallibile nella sua nobiltà ‘aliena’), o l’ispettore Zenigata (il Wile Coyote della situazione, e quindi il più sfigato, e perciò simpatico). Valli a trovare oggi personaggi caratterizzati così bene. Non a caso, ritrovi elementi della compagnia lupiniana in molti manga e anime moderni. Guarda Cowboy Bebop, per esempio: potrebbe essere il figlio di Lupin. O, esempio clamoroso, One Piece: i personaggi sono tutti ripresi da quelli di Monkey Punch, uno per uno, perfino nelle fattezze, nell’abbigliamento, nei modi e nei ‘colori’… e il nome del protagonista cita quello dell’autore di Lupin. E una delle sue più recenti tecniche di combattimento si chiama Monkey Punch… Be’, se non è una dichiarazione d’amore esplicita questa…
 
In realtà Lupin non è solo. C’è un personaggio in particolare a cui sei affezionato? Stesso discorso per le voci italiane che si sono succedute: oggi sembra impossibile scindere la questione “vocale” da quella del mero spettacolo, anche se non so quanto regga questo tipo di discorsi…
Non solo c’è un personaggio a cui sono molto affezionato, ma è addirittura quello in cui mi rispecchio completamente, e lo ammetto da sempre: l’ispettore Zenigata. Non a caso è proprio lui il personaggio da cui partono le vicende della versione ‘italiana’ di Lupin III, all’inizio di Il Violino degli Holmes. Per quanto riguarda le voci, a costo di ripetermi, Roberto Del Giudice è una sorta di simbolo, un marchio di garanzia, un bollino blu Chiquita: è il corrispettivo di Pino Locchi per Sean Connery e Alberto Sordi per Oliver Hardy, non si scappa.
 
Alle tue parole di oggi, però, dobbiamo tener conto delle parole (scritte) di ieri. Lupin III ha una nuova vita anche grazie a te e ai disegnatori italiani che si sono succeduti. Ho idea che avrai molto da raccontare su questo…
Forse troppo. E come si fa, in poche righe? Abbiamo iniziato con il folle progetto di un Lupin ‘italiano’, a cui Monkey Punch ha sorprendentemente detto di sì, e poi siamo passati addirittura a una miniserie in dieci albi, realizzata da sceneggiatori e disegnatori italiani (fatta eccezione per Shinichi Hiromoto, che con un carpiato e doppio avvitamento all’indietro ha lavorato su sceneggiatura – e senso di lettura – occidentale, su un personaggio giapponese che adorava fin da quand’era adolescente). Lupin III: Il Violino degli Holmes l’ho finito di scrivere a Sapporo, mentre sulla mia testa passava uno dei peggiori uragani della storia, che mi aveva inseguito dal sud al nord del Giappone, e nel mio ultimo fax chiedevo a Liani – il disegnatore – di occuparsi di tutto, nel caso non fossi potuto tornare. Un po’ tragico, visto a posteriori, ma io al centro di un uragano non mi ci ero mai trovato, e quella notte in albergo avevo fatto le valigie per essere pronto all’eventuale evacuazione di massa notturna. Per la serie Lupin III Millennium, ogni autore coinvolto ha raccontato il ‘suo’ Lupin, o in alcuni casi il personaggio comprimario che più lo aveva entusiasmato. Per citarne uno a rappresentanza di tutti, abbiamo avuto nientemeno che Giuseppe Palumbo (già disegnatore di Diabolik: una meravigliosa coincidenza) al lavoro su Jigen, il suo personaggio preferito; alcuni autori hanno tenuto particolarmente a citare personaggi della serie originale; altri hanno preso il ‘la’ da situazioni apparentemente lasciate in sospeso in passato; io mi sono dedicato – sperando di esserci riuscito – a esaudire uno dei desideri primari dell’autore, cioè ricondurre Lupin a quello che era in origine, rimettendo al loro posto cose come l’invincibilità della spada di Goemon, o inserendo un po’ di umorismo nelle storie (e ‘imitando’ Monkey Punch in un episodio completamente muto), o – come sto facendo ora – inventandomi una scusa plausibile per spiegare l’improbabile (la questione Fujiko / Margot generata dall’adattamento italiano). L’unica cosa che posso dire è che è un lavoro molto divertente, che tutti portiamo avanti nei ritagli di tempo e nei sempre più scarsi fine settimana liberi. Ma ne vale la pena. Oh, se vale…
 
Domanda a bruciapelo. Entusiasmo e polemiche dei fan a parte, quanto è stato importante o coraggioso portare il film Il castello di Cagliostro nelle sale? Soprattutto: ci avresti mai scommesso sopra?
Sinceramente non avrei mai pensato che qualcuno avrebbe avuto il fegato di fare una cosa del genere. Onore al merito, dunque. È stata un’ottima cosa per diverse ragioni. Risposte a bruciapelo:
a) Certi film d’animazione devono essere visti al cinema, specie quando sono studiati in partenza per il grande schermo. Cagliostro è uno di questi.
b) Storia, animazione e disegni reggono perfettamente, dopo quasi trent’anni dalla realizzazione, non sono minimamente datati, e danno punti anche alle più recenti produzioni hollywoodiane, oltre che a lungometraggi animati nipponici di produzione recente (ricchissimi da un punto di vista ottico, appiccicaticci in tutto il resto… Faccio la figura del ‘fan d’epoca’? Chissene. Tanto ho ragione io.)
            c) Questo film al cinema permetterà al nome (o meglio, al cognome) di Miyazaki di essere rivalutato agli occhi del pubblico italiano, dopo i non esaltanti risultati del figlio Goro, a cui auguro comunque di trovare una via tutta sua per dirigere film d’animazione, evitando possibilmente di fare nuovi tentativi di ripercorrere le orme del genitore. Hayao Miyazaki è come la “Settimana Enigmistica”: vanta innumerevoli tentativi d’imitazione, ma l’originale è sempre meglio.
 
Notizia di questi giorni, anche Kappa Edizioni festeggerà il compleanno di Lupin. Ce ne vuoi parlare?
Il tutto si riassume in due parole: ‘ubriachezza molesta’.
Per gli sviluppi, invece, consiglio di tenere d’occhio il sito di Kappa Edizioni e, soprattutto l’uscita di Lupin III: Fujko o Margot. Sono convinto che piacerà sia a chi conosce i retroscena dell’adattamento italiano, sia a chi ancora crede che Fujiko e Margot siano due personaggi distinti. Almeno, dopo questa storia, avremo qualcosa da sbattere sotto il naso di quelli che non ci hanno mai creduto.
 
Grazie, come sempre.
Grazie a te!
 
di Mario A. Rumor
 
 
 
Per le immagini:
 
© Kappa Edizioni
 
 “LUPIN THE 3RD, THE CASTLE OF CAGLIOSTRO”
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