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Curiosità

Visita al Ghibli Museum

Da qualche tempo lo Studio Ghibli vale doppio: non solo fucina della fantasia e dell’immaginario costruita a misura di genio (Miyazaki e Takahata) ma anche museo delle meraviglie che porta nel mondo reale proprio i paesaggi e i personaggi usciti da quello studio. Un luogo con una perfetta filosofia di vita, dove sognare è ancora consentito. Anzi: è obbligatorio.
 
 
Ormai luogo di culto e di "pellegrinaggio" per appassionati e visitatori sia giapponesi che stranieri, il Museo d’Arte Ghibli è stato aperto dall’omonima casa di produzione nipponica quasi sei anni fa, il primo ottobre 2001. Si trova immerso (quasi letteralmente visto che la vegetazione lo circonda e quasi lo nasconde) nel Mitaka no mori, un piccolo boschetto che contribuisce ad ossigenare la zona che incredibilmente è solo a venti minuti di treno dal centro pulsante della metropoli di Tokyo. Infatti dalla stazione di Shinjuku, usando la linea Chuo della JR, si arriva a Mitaka in meno di mezz’ora e si è catapultati dal delirio urbano, di colori, di palazzi del centro di Tokyo a una zona con al suo centro proprio il Museo, che fa della semplicità la sua caratteristica principale.
Scesi dall’autobus, anch’esso in stile Ghibli, ci si ritrova davanti all’entrata pronti per "perdersi come dei bambini" come vuole il motto del museo, che proprio per questo non ha nessun percorso stabilito al suo interno, ma è una specie di mini labirinto ligneo. Il posto non è troppo grande e all’esterno è un patchwork di tanti colori che lo rendono, come qualcuno ha giustamente detto, un qualcosa di "pastelloso": i colori infatti sono tenui, smorzati, cercano di inserirsi nell’ambiente circostante non di distaccarsene. Ricordano molto i toni usati per i bellissimi sfondi di I Racconti di Terramare di Goro Miyazaki, che proprio del Museo è stato il direttore fino al 2005.
Per entrare mi viene dato un biglietto che altro non è che una copia di pellicola in 35mm di uno dei film dello Studio: mi toccano in sorte quelli di Sen to Chihiro no kamikakushi(La città incantata). Ho già il mio piccolo gadget addirittura prima di entrare, sono contento come un bambino il giorno di Natale, si vede che l’effetto Ghibli si fa sentire.
L’entrata è ampia e ciò che colpisce subito lo sguardo è il legno, presente ovunque nell’architettura interna e materiale fondamentale anche per la filosofia del maestro Miyazaki. Il legno è natura, elemento vivo anche quando usato come oggetto, dal legno si ricava la carta sui cui l’idea di un soggetto nasce e si sviluppa, il legno è anche il fondamento di una tecnologia low-tech, quasi magica a misura d’ambiente. Sono queste le impressioni che ricavo da un primo sguardo al museo.
Al piano terra fra i vari oggetti dedicati alla storia dell’animazione quello che attira di più l’attenzione è uno stroboscopio sincronizzato a delle figure del Ghibli che girando in moto circolare ci fanno vedere come nasce la magia (parola di cui abuserò ancora) del movimento. Salendo al primo piano si entra ancora più a fondo nel processo creativo, in delle piccole stanzette – sempre rigorosamente di legno – sono appesi alla parete oppure accatastati in apparente confusione sketch, storyboard, disegni e vari oggetti tutti per lo più riguardanti i film di Miyazaki, con una parte consistente "italiana": cioè quella su Porco Rosso. Da qui è anche tratto il nome dell’immancabile negozio di gadget, che si chiama infatti "Mamma Aiuto!" dal nome dei pirati che compaiono nel film. Si sale per scale a spirale, si esce in delle piccole terrazze, si attraversa il museo da una estremità all’altra su dei piccoli ponti. Solo girovagando, un po’ senza meta, un po’ come per fare una passeggiata nel bosco, si gode a pieno della struttura architettonica del posto che sembra davvero abitare uno dei mondi creati dalla fantasia di Miyazaki. Girare per il gusto di farlo, senza una qualche particolare meta, senza l’ossessione di dover vedere qualcosa, anche in questo il gruppo Ghibli è maestro.
Il museo ospita periodicamente delle mostre, ci sono state quelle di Heidi e della Pixar fra gli altri, ma questa volta per me la ciliegina sulla torta mi aspetta nel piccolo cinema interno, il Teatro Saturno, dove ho la fortuna di vedere gli ultimi tre cortometraggi realizzati da Miyazaki.
Il primo è Mizugumo Monmon(Il ragno d’acqua Monmon), una decina di minuti di vita in un piccolo stagno, con una deliziosa storia d’amore tra due diversi tipi di ragno d’acqua, uno che vive nelle profondità dello stagno e l’altro che pattina delicato sulla sua superficie. Graficamente dettagliatissimo, il rapporto fra i due animaletti è un balletto a pelo d’acqua, si conclude infatti quasi come un elogio dell’effimero con i due insetti che si separano inesorabilmente a causa di un colpo di vento.
Di tutt’altro genere è Yadosagashi (In cerca di casa) corto quasi sperimentale dove non ci sono i dialoghi, ma solo suoni e rumori prodotti da due attori, rumori che vengono visualizzati sullo schermo attraverso le scritte onomatopeiche che quindi divengono parte integrante dell’animazione. Il segno è volutamente grezzo e semplicistico, quasi infantile ma funzionale allo stile del pezzo che è a tratti molto comico.
Con il terzo cortometraggio si cambia ancora. Hoshi wo katta hi(Il giorno in cui allevai una stella) è il più completo e forse quello che rimarrà di più nella memoria dei fortunati spettatori, che oggi sono quasi tutti bambini. Originato da un’idea dell’artista Naohisa Inoue, all’inizio in un paesaggio di campagna, un ragazzo un giorno se ne va al mercato per vendere delle enormi rape ma per la strada incontra due buffi personaggi, una rana e una talpa che lo convincono a barattare gli ortaggi per il seme di una stella. Ritornato a casa il ragazzo lo pianta in un vaso e lo accudisce con dedizione e amore giorno e notte, finché il seme si sviluppa e incomincia ad assumere le fattezze di un pianeta, sospeso a mezz’aria sopra il vaso. Giorno dopo giorno il bambino assiste alla nascita di un pianeta in miniatura, si formano l’atmosfera, gli oceani e quindi le terre emerse e saranno ancora i suoi buffi amici, la rana e la talpa, a guidarlo con una navicella in una Via Lattea fantastica, popolata di asteroidi multiformi, pianeti e stelle varie e dove il ragazzo rilascerà il suo pianeta-stella ormai cresciuto.
Davvero, questo corto per tocco, musiche, temi affrontati e scenografie varrebbe da solo il costo del biglietto del Museo… ma anche dell’aereo per il Giappone!
Visti i tre corti, soddisfatto più che mai e con ancora i residui dell’aura magica (è l’ultima volta che uso l’aggettivo, promesso!) con cui il Museo Ghibli mi ha avvolto, decido di farmela a piedi fino alla stazione di Mitaka. I vari negozietti che costeggiano la strada e la relativa tranquillità della zona mi permettono di vagabondare col pensiero su cosa aspettarmi da Gake no Ue no Ponyo (Ponyo sopra la scogliera) il film che il maestro Miyazaki sta preparando per il 2008.
Progetto che è nato in Europa, quando Miyazaki in visita a Londra vede la famosa Ofelia dipinta da John Everett Millais più di 150 anni fa e improvvisamente realizza quanto l’animazione sia niente rispetto ad opere d’arte siffatte.
Concentrandosi sulla storia di Sosuke, cinque anni, e della principessa dei pesciolini rossi Ponyo che desidera a tutti costi diventare un essere umano, decide che è tempo di cambiare, di realizzare qualcosa di diverso. La novità è data dal segno: se infatti fino ad ora quello che il maestro cercava era la tridimensionalità, in questo ultimo lavoro sarà il disegno piatto la superficie che veicolerà i messaggi. Questo almeno è quello che è trapelato dalla "fortezza Ghibli". Dovremo aspettare fino all’estate prossima per averne una conferma o una smentita.
 
© Nibariki
© Museo D’Arte Ghibli
Sito ufficiale: www.ghibli-museum.jp

 
 
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