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Interviste

Digital Frontier, Noi oltre il confine

 Mai realmente parlato di effetti speciali e tecnologie digitali in «MAN·GA!». C’è sempre una prima volta e in questa occasione siamo andati a parlare con lo studio Digital Frontier grazie al quale sono state concepite le meraviglie in 3D del film “Appleseed 2004” e di alcuni dei più fortunati film giapponesi al botteghino come “Death Note”. Ci apre le porte dello studio, Naomi Ikomi.
 
Il nome del vostro studio è perfetto per i tempi di oggi: “Digital Frontier”. Ci vuoi spiegare qual è esattamente la “frontiera digitale” nell’attuale industria dello spettacolo giapponese e quale eredità vi lasciate alle spalle?
Sono passati ormai 14 anni da quando il nostro studio è stato fondato, nel 1994. E ogni anno è stato per noi una fase di continua evoluzione. Tra questi cambiamenti, possiamo differenziarci dalle altre società grazie al fatto che oggi in Giappone siamo gli unici a realizzare film totalmente in digitale. Potremmo avere altri Studi simili in futuro. Ma per adesso è difficile trovare realtà produttive simili che si siano cimentate in ben tre produzioni cinematografiche in CG e in questo caso ci poniamo come una factory in grado di produrre lavori di elevata qualità.
Siamo soliti guardare ai film di Hollywood e ai loro strabilianti effetti speciali, eppure negli ultimi tempi è sempre più l’industria cinematografica americana a guardare al Giappone. Cosa ne pensi?
In aggiunta a questo giudizio, posso dire che tutti noi avvertiamo quanto il ruolo di Hollywood nella scrittura e nella realizzazione di film che tengono finalmente conto delle richieste del pubblico, sia ormai a un livello di confronto e di consapevolezza in chiunque lavori nel settore.
Quindi posso capire il crescente successo al cinema dei nostri film rispetto a quelli statunitensi, dopo un lungo intervallo di sudditanza durato 21 anni. Quando dici “film giapponesi” qui, probabilmente ti riferisci alla produzione horror e all’animazione di studi come Production I.G e Studio Ghibli. Per chi lavora a Hollywood, ora si tratta di guardare al Giappone non soltanto come un’isola lontana ma a un Paese con una cultura unica. Del resto abbiamo piccoli grandi tesori in forma di film, animazione, manga e romanzi dai quali è possibile trarre ottime idee. Dipende come essi vogliano interpretare lo spirito culturale del Giappone.
È vero che alcune compagnie americane hanno richiesto la vostra collaborazione per alcuni film? Si tratta di una grossa opportunità da cogliere al volo o la competizione è ancora aperta?
Succede solo, ad esempio, che il grande regista John Woo è il produttore di “EX MACHINA” (Appleseed Saga) che stiamo realizzando nel nostro studio proprio ora. In realtà le richieste di collaborazione sono meno numerose di quelle che prospetti. Anche dovesse accadere, saremmo ovviamente ben felici di prendervi parte.
Vuoi introdurci lo studio Digital Frontier? Se non erro avete iniziato già nel 1986 come studio che sviluppava videogiochi… e poi che successe?
Digital Frontier ha cominciato come dipartimento della TYO Production Inc. (impegnata nella realizzazione di spot televisivi). Al momento siamo conosciuti come compagnia di produzione che è principalmente specializzata nella Computer Graphics con quasi 200 dipendenti. Come detto siamo l’unico studio che realizza film in digitale e al tempo stesso lavoriamo alla produzione di film live action o nello sviluppo di videogiochi. All’epoca in cui dominava la PlayStation, eravamo soliti mantenere un dipartimento “game” occupato da non meno di 100 persone impegnate nella produzione di 5 titoli all’anno. Poi con l’entrata in scena di PlayStation 2, quel dipartimento lo abbiamo chiuso a causa dei crescenti costi di sviluppo dei videogame e al momento accettiamo solo incarichi che si occupino del design e non del prodotto per intero.
Quale è stato il primo passo che ha condotto Digital Frontier a diventare lo studio leader e pioniere nel “motion system capture”?
Per prima cosa direi che abbiamo creato con enorme successo i primi film interamente in CG. Prima di noi non c’era una sola compagnia in Giappone che fosse in grado di progettare e produrre questo tipo di film in loco, nel proprio studio. Come ben sai, i film in digitale sono enormemente costosi e richiedono tempo. Così abbiamo introdotto il “motion system capture” per restringere al massimo quel margine. Al momento il nostro sistema è conosciuto come il più massiccio in Asia con oltre 60 macchine da presa con “Vicon Capture System”. Possiamo dire che la ragione principale che ci ha resi i pionieri in Giappone, è perché abbiamo saputo organizzare un ottimo staff e una struttura che richiede progettisti, addetti alle apparecchiature e responsabili che controllino il tutto su vasta scala.
Se dovessi trovare un termine corretto per descrivere lo studio Digital Frontier cosa useresti? Innovazione, coraggio, fede?
Penso sarebbe la parola “libertà”. Se ti metti a pensare a una cosa e la metti in pratica, ogni cosa è davvero possibile ma se non lo fai, nessuno ti concederà mai nulla. In questa particolare accezione dico libertà come parola migliore per descrivere il nostro lavoro.
Solo una curiosità: lavorare con questa tecnologia e con lo sviluppo dei software è sinonimo di lavoro di gruppo o lavoro solitario di un singolo artista? Nella mia mente fluttua con insistenza la parola giapponese “nakama”…
Noi lo pensiamo come lavoro di gruppo. Guardandoci alle spalle, il nostro lavoro inerente i corti televisivi richiedeva un minimo apporto di CG. Così il nostro staff di solito era molto ridotto e ognuno di noi lavorava separatamente per gran parte del tempo. Ma oggi abbiamo a che fare con una mole di lavoro in CG per i lungometraggi e quindi ci riferiamo a esso come a un lavoro di gruppo. Tra i grossi studio di CG, impegnati in progetti su vasta scala, ce ne sono alcuni che si concedono una eccessiva frammentazione del lavoro, perdendo di vista lo stile personale. Rispetto a tutti loro, facciamo esattamente il contrario: nessuna divisione o subappalto per portare a termine il lavoro, né siamo abituati a gerarchie di ruolo fra i designer. In una reale situazione di lavoro, creiamo delle squadre con diversi designer. Nella squadra l’atmosfera che prediligiamo è quella in cui un Senior designer (il Senpai) insegna ai designer più inesperti (i Kouhai). Quindi, come hai detto, “nakama” è probabilmente la parola più indicata per descrivere il nostro ambiente di lavoro.
Questa è una domanda che di solito rigiriamo agli artisti del digitale: vi ritenete degli artigiani dello sviluppo software o degli Artisti nel vero senso della parola?
I nostri designer probabilmente si sentono più vicini a degli artigiani. Quando ci sono dei clienti, cerchiamo di dare il meglio di noi stessi per soddisfare le loro richieste e aspettative, e anche quando siamo occupati nei nostri progetti originali spesso richiediamo la presenza e la collaborazione di registi esterni allo studio. Pure in quel caso facciamo di tutto per soddisfare le loro richieste. In sostanza voglio dire che trattiamo tutti alla pari. Ma ovviamente questo non significa che chiniamo il capo passivamente, anzi se ci sono idee o suggerimenti che vogliamo dare ai nostri clienti lo facciamo anche a costo di discutere con loro pur di fare un ottimo lavoro. All’opposto di quanto appena detto, producendo rappresentazioni in CG con la presenza del dialogo e con i clienti che richiedono uno stile visivo specifico, ecco che questo tipo di designer lo possiamo annoverare tra gli “artisti”. In simili circostanze di lavoro, i nostri clienti lasciano loro carta bianca. Quindi, come vedi, in questo clima un po’ così è davvero difficile riuscire a paragonare il nostro lavoro a quello degli artisti veri e propri.
L’americano Michael Arias, regista di “Tekkon Kinkreet”, è uno dei maghi delle tecnologie digitali. So che è stato di grande aiuto proprio a voi di Digital Frontier. Vuoi parlarcene?
Michael è l’unico ad avere grande familiarità con il “toon rendering” all’interno di quell’universo che è Softimage XSI, e che stiamo usando proprio ora con il nuovo film di “Appleseed”. Ci ha aiutato enormemente nella perfetta resa delle ombre e delle rifiniture dei personaggi in “toon shade” (quell’apparenza da cartoon tradita dai movimenti “umani” dovuti al motion system capture, ndr).
“Appleseed” (2004) è il film su cui avete lavorato veramente sodo. Yasuhiro Otsuka, regista del CGI, e il responsabile delle animazioni Yasushi Kawamura hanno fatto prodezze in tal senso. Ci vuoi parlare di questo lavoro?
Prima di “Appleseed” (2004) in Giappone ci sono stati pochissimi film realizzati interamente in digitale. La maggior parte di essi neanche raggiungeva la qualità inizialmente stabilita e i loro obiettivi non collimavano con quelli del pubblico. Un giorno ci giunse la notizia del film “Final Fantasy – The Spirits Within” (2001) che aveva goduto di una distribuzione internazionale, era costato un occhio della testa ma sotto il profilo degli incassi era stato piuttosto deludente. Siamo ripartiti da lì, con la speranza di poter fare anche noi qui in Giappone produzioni interamente digitali. Con questo animo è nato “Appleseed” (2004). Era arrivato il momento in cui i nuovi venuti della CG finalmente seguissero la corrente dello stile ammirato nell’animazione giapponese. E se la CG che compendiava la realtà veniva ignorata dal pubblico, il suo nuovo aspetto in “toon shade” al contrario lo elettrizzava. Nonostante questo, esso dava l’impressione che non solo l’animazione tradizione su rodovetro ma anche quella con il “toon shade” potesse avvalersi di movimenti agili quanto quelli umani. Qualcosa che non si era mai visto prima. Sul piano commerciale, l’operazione sarebbe stata considerata un successo se fossimo stati in grado di realizzare un film totalmente in digitale con qualità elevata e un budget ragionevole. Il resto della storia sono “dettagli” che porterebbero via ore di conversazione e quindi, scusami, per questa volta sorvoliamo.
Il regista Shinji Aramaki ha affidato l’incarico interamente a loro oppure ha collaborato nella creazione del nuovo stile del film?
Sia il regista che il nostro staff di produzione erano d’accordo che per esprimere al meglio i personaggi in “toon shade” c’era bisogno che il pubblico accettasse il look in CG digitale del film. Se pensate che esprimere i lati umani con il “toon shade” sia facile vi sbagliate di grosso, dal momento che abbiamo dovuto applicare numerose tecniche per ottenere il massimo e attraversare diverse fasi modellando l’immagine, selezionando le ombre giuste, più tutti i livelli espressivi previsti a perfezionare ogni personaggio. In aggiunta a questo, abbiamo dovuto considerare gli scenari alle spalle dei personaggi che dovevano sembrare più reali possibile e fonderli in un solo “mondo”. Ci siamo arrivati alla fine di un lungo tragitto costellato di tentativi, errori e perseveranza da parte del regista e dello staff della Computer Graphics.
Quindi ora siete al lavoro su “Applessed 2”: qualche anticipazione?
Sebbene non sia un vero sequel rispetto al film precedente, stiamo lavorando a questo “EX MACHINA”. Il regista è ancora una volta il signor Shinji Aramaki, che ci ha indicato la direzione giusta come la prima volta, e John Woo è il produttore. Non abbiamo ancora anticipazioni da dare, né un sito ufficiale. Per adesso c’è un articolo, in lingua giapponese, presente al sito http://www.famitsu.com/game/news/2006/05/19/103,1148028390,53522,0,0.html, dove è presente una delle prime immagini disponibili.
Un altro lavoro realizzato da Digital Frontier è “Atagoal – Cat’s Magical Forest” che sembra davvero promettente sul fronte visivo e tecnico. Che tipo di film è?
Cosa posso dire? Questo film è quasi un musical. O forse, mettiamola così: è un lavoro interamente in CG, e tutto in musica. È una storia che ci dice quanto la vita sia meravigliosa, e la celebra attraverso il personaggio di Hideyoshi, un gatto pieno di vita ed energia che vive in questo mondo moderno sempre più privo di autostima.
Avete altri anime in cantiere?
Sì, ci sono diversi progetti in corso, sia tratti da manga che da videogame. Stiamo ragionando sia in termini di remake che di soggetti originali. Al momento non posso anticipare alcun titolo, ma siamo in fase di pre-produzione con la stesura della sceneggiatura e lo sviluppo dell’aspetto visivo. Ci piacerebbe anche produrre una serie televisiva con la qualità di “Appleseed”, su cui ci arriveremo con prove, tentativi ed errori prima di decidere.
Un altro dei vostri successi è dato dai film della serie “Death Note” che si sono rivelati inaspettati campioni di incasso al botteghino giapponese. Credi che l’esplosione delle tecnologie digitali abbia aiutato la produzione e il successo di film tratti da fumetti?
Questo è il genere di cose che vorremmo domandare al pubblico. Credo che siamo riusciti a realizzare qualcosa di affascinante nel look in CG dei Reapers del film. Riteniamo di aver espresso le emozioni dei Reapers che non erano state mostrate abbastanza nel fumetto originale grazie ai movimenti e alle espressioni facciali.
Insomma “digital frontier” significa anche altro? Tipo: una nuova prospettiva di concepire film e renderli più credibili ancora sullo schermo?
La parola “Digital” ormai è ovunque e dovreste essere in grado di dire che è quasi “lingua morta” negli ultimi anni da quando ogni cosa può essere digitalizzata. L’animazione si dà come immagini disegnate su celluloide e i film come immagini impresse su pellicola. La Computer Graphics è la massa dei pixel calcolati con il computer. Se riusciamo a controllare il principio di digitalizzazione, saremo in grado di creare in futuro tutte le immagini che vogliamo. Quindi, in questa accezione, “digital frontier” significa che possiamo ancora essere pionieri in questo media assolutamente virtuale.
 
 
 
Per EX MACHINA:
© SHIROW MASAMUNE / SEISHINSHA - EX MACHINA FILM PARTNERS
Per Death Note:
© 2006 « DEATH NOTE » FILM PARTNERS
© 2003 Tsugumi Ohba/Takeshi Obata
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione.
Per l’intervista © 2007 Yamato Video
 

 
 
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