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Interviste

Ivo De Palma al servizio dei Cavalieri

Tra i titoli in DVD più venduti in Italia la saga de “I Cavalieri dello Zodiaco”, autentica serie di culto per l’affezionatissimo pubblico otaku, continua a far parlare di sé, anche in vista di “Hades – Sanctuary” che promette grandi sorprese. Chiara Bosio è andata a fare due chiacchiere con Ivo De Palma: voce storica dell’anime, bravissimo direttore del doppiaggio, ma non solo.
 
 
Per prima cosa vorrei chiederle qualcosa della nuova serie de “I Cavalieri dello Zodiaco – Hades Sancuary”, di cui lei è direttore del doppiaggio.
Certo. Innanzitutto mi sembra che la nuova serie abbia un taglio decisamente più maturo delle serie precedenti. È anche vero che di quelle mi sono limitato a doppiare il mio personaggio (Pegasus, ndr.) e quindi non le ho seguite passo per passo, mentre ora seguo tutto quanto: l’adattamento, lo script inglese confrontato con i fan sub, ossia i sottotitoli inseriti dagli appassionati, la messa in sincrono. Poi cerco di elevare un po’ il registro linguistico perché questa fu una scelta di adattamento fatta all’epoca della prima serie, con la quale mi trovai totalmente concorde e che mi piacque molto. Quindi ho accolto con favore la decisione del cliente (Mediaset, ndr.) di mantenere tale registro. Posso rivelare, con cognizione di causa, che la serie “Hades – Sanctuary” ha un gusto più adulto delle altre saghe, anche se credo che il cliente abbia come target di riferimento i teenager.
Quanto interpreta un doppiatore rispetto all’originale? Ad esempio, ascolta l’originale e ne rispetta l’intonazione o la cambia a seconda della sensibilità personale? 
Per quanto riguarda questo cartone in particolare fu scelta artistica ben precisa quella di lavorare sulla voce in maniera più raffinata, dando uno spessore maggiore ai personaggi, per conferire loro un vissuto di un certo tipo e permettere allo spettatore di entrare proprio nella testa di chi sta parlando, perché un conto è il contenuto e un altro è ciò che sta dietro questo contenuto. Fu una scelta faticosa allora, perché Enrico Carabelli (il primo direttore del doppiaggio, ndr.) era molto esigente, però fu una scelta sposata da tutti noi, perché a un doppiatore interessa dimostrare che sa recitare, non gli interessa esercitare la funzione di mero megafono, anche se a volte siamo costretti per motivi commerciali e soprattutto per fare in fretta. Se abbiamo la possibilità di lavorare più di cesello siamo tutti più soddisfatti. È possibile che una certa impressione di maggiore sfumatura rispetto alla recitazione degli attori in presa diretta sia data dal fatto che le voci dei doppiatori sono incise in studio e quindi nelle condizioni migliori di ripresa del dettaglio vocale, mentre invece le voci degli attori originali le sentiamo spesso in presa diretta. Molti dicono “Ah, le voci dei doppiatori sono molto meglio di quelle degli attori originali”. Questo non è assolutamente vero, gli attori americani, che sono quelli che conosciamo di più, hanno voci bellissime, ma nel confronto sono penalizzate anche dal contesto, dal set, mentre noi siamo in studio.
Quindi sicuramente il doppiatore non si limita a dire delle battute, ma recita e mette del suo il più possibile.
Come si sceglie tra la carriera di attore, che presta al personaggio voce e corpo, e quella di doppiatore, che presta al personaggio solo la voce?
La mia è stata una scelta quasi obbligata che ha privilegiato il mio punto di forza, la voce appunto. Ho avuto modo di capirlo durante le mie passate esperienze radiofoniche. Il doppiaggio per me non è mai stato un ripiego, ma è stato la cosa che ho scelto innanzitutto. Poi è chiaro che non disdegno altre cose, per variare un po’ il menù perché va sempre bene avere esperienze un po’ diverse, ma fermo restando che sono prima di tutto una voce professionale mentre tutto il resto va a complemento di questa specializzazione principale.
Dove ha studiato per diventare doppiatore?
Ho cominciato qui a Torino con due insegnanti che oramai non ci sono più: per quanto riguarda la dizione il mio maestro fu Iginio Bonazzi, il più importante insegnante di dizione del Nord Italia, e per la recitazione andai dal regista radiofonico della RAI Ernesto Cortese, da cui Bonazzi mi mandò quando ancora non avevo deciso se fare l’attore, perché anche se avessi fatto solo radio la recitazione avrebbe costituito sempre una base fondamentale. Ernesto Cortese insegnava nel salotto di casa sua, quindi non nelle condizioni ideali, ma aveva un carisma eccezionale, e quindi, io non so come, riusciva a farti respirare il palcoscenico anche lì, nel salotto di casa. Sicuramente dal punto di vista della capacità di trasmettere, anche lui fu uno dei migliori insegnanti dell’epoca.  
Lei ha due figli. Pensa che uno, se non tutti e due, seguiranno le sue orme?
Sì, la bambina ha tre anni ed è un po’ presto perché si capisca cosa pensi, anche se quando è qui comincia a riconoscere la mia voce diffusa da una cassa. Il bambino, invece, ha dieci anni e ha capito perfettamente qual è il mestiere di suo padre. Ha già assistito ai turni di doppiaggio, mi ha visto lavorare e sa anche cosa vuol dire lavorare su un prodotto straniero. Addirittura, ogni tanto quando faccio gli adattamenti comincia a permettersi di suggerirmi delle battute. La cosa ovviamente mi fa piacere. Io non so se farà il mio mestiere, certo mi piacerebbe, come succedeva nell’antichità, però lui sa bene che io non lo forzerò mai in questo senso. Qualunque sua scelta professionale sarà ben accetta; al momento dice che vuole fare lo scienziato. Mi piacerebbe insegnargli il mestiere, perché è nell’età in cui può impararlo senza problemi, e potrebbe anche essergli utile, ma senza esagerare perché non vorrei che una volta cresciuto ne avesse già abbastanza, e non lo scegliesse perché sentito come imposto.
Lei ha una scuola di doppiaggio. Che cosa ci dice a riguardo?
Dunque, la mia scuola di doppiaggio esiste da una decina d’anni. Non ho cominciato a insegnare a inizio carriera perché sarebbe stato assurdo. Alcuni lo fanno appena usciti dalle scuole di recitazione, vestendo i panni dell’insegnante ma con ancora un’esperienza troppo scarsa…
Io ho cominciato a fare il direttore del doppiaggio dopo 9 anni di professione, e da una decina d’anni circa insegno anche doppiaggio. Ho cominciato in altre strutture che adesso sono mie concorrenti, e che hanno costruito il loro marchio sul mio nome e sul mio lavoro. A un certo punto, mi sono messo in proprio perché non mi piaceva la loro politica e il raccogliere indiscriminatamente decine di allievi per poi spingerli a esercitazioni insufficienti, perché 15 persone in due ore possono fare veramente poco. Invece io ho pochi allievi, anche perché non ho una struttura da battaglia, non faccio pubblicità sui giornali, né ho segretarie che importunano i potenziali allievi tutti i giorni per convincerli a iscriversi. Questo significa anche poter tenere dei prezzi abbordabili, e tutto sommato chi viene a studiare da me investe meglio i propri soldi.
Qui a Torino c’è la possibilità di svolgere la professione di doppiatore o bisogna spostarsi?
Purtroppo qui di continuativo c’è poco; il posto più vicino dove si fa un lavoro del genere è San Giorgio Canavese dove attualmente si girano le soap opera “Centovetrine” e “Vivere”. Chi vuol fare doppiaggio professionalmente dovrebbe cominciare la carriera a Milano o a Roma, dopo aver fatto un corso anche qui. Sono infatti piazze che, con tutti i difetti che possono avere, sono però più mature perché c’è più concorrenza e quindi c’è anche più rispetto per la categoria. Laddove c’è un solo datore di lavoro, è chiaro che ha il coltello dalla parte del manico e la cosa grave è che chi comincia sotto i “dittatori” pensa che sia così dappertutto, mente questo non è vero. In altri posti si riceve molto più rispetto che non nei contesti monopolistici.
Qual è il personaggio che ha preferito doppiare nella sua carriera?
Sicuramente Pegasus, non tanto come personaggio in sé, perché è fin troppo sbruffone. Ne preferisco altri, e come fruitore avrei preferito doppiare Sirio o Virgo o Mur che sono molto presenti in “Hades – Sanctuary”, perché sono personaggi più vicini a una certa mia idea. Però Pegasus mi è capitato in un momento molto particolare della mia carriera in cui, intanto, avevo il supporto di un direttore del doppiaggio che aveva voluto scommettere molto su di me e poi perché ero in quell’età in cui mi mancava quel personaggio che mi facesse fare il salto di qualità. Senza contare che finora ho doppiato 114 episodi, anche se in diverse tornate, e una tale lunghezza è comunque cosa abbastanza rara. Ho così potuto mettere a punto alcune cose sulla capacità vocale, dal sussurro all’urlo che forse, non avessi avuto quel personaggio in quel momento, avrebbero tardato di più. Gli sono tutto sommato grato anche se ritengo di avergli dato molto, per lo meno in italiano. Lasciando stare ogni polemica sull’aderenza e sull’età, perché sono dibattiti annosi.
Abbiamo già doppiato più di metà serie, non abbiamo chiuso ancora nessun episodio ma li abbiamo toccati tutti, per ottimizzare la presenza dei doppiatori. Non ci lavoro tutti i giorni, anche perché la messa in onda viene decisa in maniera indipendente da noi. Si sa che non ne è prevista una immediata e questo ci dà il tempo di lavorare meglio. Se dovesse andare in onda la prossima settimana i fan sarebbero contentissimi però poi si ritroverebbero una roba fatta in fretta. Credo sia interesse di tutti non stressare Mediaset chiedendo la messa in onda. I fan chiamano, scrivo e sollecitano ma non vorrei mai che li si volesse accontentare. Sarebbe la cosa peggiore che potesse capitare.
Quale personaggio avrebbe voluto fare in generale?
Beh, innanzitutto tutto il cinema, ma il cinema è tutto a Roma. Così o si sta lì o si perde la possibilità. Potrei doppiare cinema come altri colleghi, mi manca solo il preciso riscontro. Nel campo dell’animazione, mi mancano i personaggi storici, per questione d’età: ad esempio i cartoni che hanno fatto la storia come “Goldrake”. Mi sarebbe piaciuto essere ricordato per “Alabarda Spaziale”. Ma non mi lamento se sarò ricordato per… “Fulmine di Pegasus!” Il mio primo personaggio fu Mirko in “Kiss me Licia”. Ora quando mandano le repliche mi fa un po’ accapponare la pelle, ma erano proprio i miei inizi. Adesso lo farei diversamente.
Qualche domanda personale. Come passa il suo tempo libero?
Purtroppo di tempo libero ne ho poco, e quando lavoro a Milano (dove ora sta dirigendo il doppiaggio di “Hades – Sanctuary”, ndr.) ho anche il viaggio, quindi niente palestra o sport. Al momento sono molto impegnato con il lavoro.
Mi piace molto la cinematografia francese, perché è quella che abbina il repertorio intimista e introspettivo con un’interpretazione di attori che sono degni di questo nome. Cosa che non sempre ritrovo nel cinema italiano. Mi piacerebbe che le commedie e quei film introspettivi italiani fossero fatti sempre con quella qualità che mediamente troviamo in un buon film di fattura francese. In Italia c’è un po’ l’abitudine a dire: lasciamo gli effetti speciali agli americani e teniamo per noi commedie e storie più minimali! Però se io confronto le storie minimali fatte in Italia con quelle minimali fatte in Francia, nel primo caso vedo gente che va lì a fare se stessa e nel secondo caso vedo degli attori, che prendono per mano il loro personaggio e lo conducono, ed è il tipo di attore che mi interessa essere. Se da un lato è giusto che la sensibilità attuale privilegi ciò che è espressivo e non solo ciò che è impostato, dall’altro non va bene che chiunque apra bocca solo perché ha la fotografia giusta, il regista bravo, sembri bravissimo quando è appena appena passabile e solo perché ha attorno chi lavora in un certo modo. Il cinema italiano fatto così non mi interessa molto.
Il cinema americano più smaccatamente hollywoodiano neanche, anche se ovviamente lo doppierei molto volentieri, ma questo è un altro discorso. Comunque dovendo scegliere tra cinema e teatro preferisco quest’ultimo, anche perché lavoro davanti a un video tutto il giorno. Se vado al cinema metà del tempo è dedicato a giudicare il doppiaggio. Insomma sto lì a giudicare i colleghi e non mi piace. Invece il teatro mi piace molto, perché percepisco paradossalmente la vita vera, gli attori in scena. Poi la recitazione è diversa, io preferisco il teatro di parola sul quale l’attore ha lavorato, e non solo parola “cotta e mangiata”.
La musica, invece, è stata una mia passione quando avevo più tempo per ascoltarla. Da bambino fui introdotto anche alla tecnica pianistica. La musica ha fatto parte del mio lavoro, avendo io cominciato nelle radio. Allora ascoltavo quello che un ragazzo di Sinistra bene o male ascoltava, molta roba americana di un certo tipo, Blues, Rock Blues, West Coast, New Wave, anche se non tutta. Invece il delirio legato soprattutto al look che arrivò dall’Inghilterra negli anni ‘80 non ebbe alcuna seduzione su di me.
Adesso, ascolto molto i CD di Arvo Part (compositore estone, ndr.) e di certa musica sacra, come quella di Kristof Penderesky,anche se non certo musica che si ascolta in macchina. Diciamo quindi che ascolto la musica che può fare da sfondo suggestivo alla recitazione vocale. È questa quella che preferisco.
 
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© Yamato Video per l’intervista. Foto di Chiara Bosio. Vietata la riproduzione.

 
 
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