Yamato video

 
 

Editoriale

Anime del mese

Due fiabeschi classici Toei – Se il vostro forte sono i malinconici ricordi televisivi dell’infanzia, quella di esclusiva proprietà di una generazione che si è scoperta a seguire in Tv le innumerevoli varianti degli “orfani & robot” made in Japan, allora queste righe fanno al caso vostro. C’è aria di cari anni ’80. Il periodo natalizio è anche più indulgente, dal momento che tanti classici cinematografici d’animazione giapponese passarono sulle reti italiane proprio nel giorno più magico dell’anno e questo ha sicuramente contribuito a solidificare nella memoria dei fan sentimenti e sensazioni uniche. Di magia si servono in abbondanza due film molto diversi fra loro che, per qualche rispettabilissima ragione di etichetta, fanno parte di una stessa categoria di “classici” prodotti da Toei Animation, il celebre studio che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio del decennio seguente sperava di poter tornare a ruggire (nonostante l’effige del marchio fosse il micio Pero di “Il Gatto con gli stivali”) come nel suo periodo più folgorante. I titoli dei film sono “Il lago dei cigni” (Hakucho no Mizumi, 1981) e “La lampada di Aladino” (Aladdin to Maho no Lamp, 1982). Il “genere” d’appartenenza è invece conosciuto come “Sekai Meisaku Douwa”, che sta per “I capolavori delle fiabe del mondo” considerata l’attitudine degli autori giapponesi a rovistare tra opere letterarie di casa altrui. Mica è una novità. L’importazione culturale ha un doppio senso di marcia, soprattutto se – come ci si augurava alla Toei – questi loro film poi riuscivano a ritagliarsi un posto di riguardo nei cataloghi di vendita per l’estero. “Il lago dei cigni” è sicuramente l’opera più evocativa e struggente. Dalla sua aveva la regia di un veterano come Koro Yabuki e si portava dietro un bagaglio romantico non indifferente che ancora oggi potrebbe piacere anche a chi del “vintage” animato non sa bene che farsene. La storia d’amore tra il principe Sigfrido e la sfortunata principessa Odette, trasformata in meraviglioso cigno da un sortilegio, si configura come ideale prosecuzione di un altro amore contrastato: quello ammirato nel primo grande successo di Toei, “Il Gatto con gli stivali” (1969), film cui l’opera di Yabuki somiglia molto nella scelta di personaggi diabolici come lo stregone che vuole Odette tutta per sé e nella perfetta aderenza con scenari da fiaba come il castello prigione in cui la principessina è reclusa. La morale della storia è che alla fine l’amore vero trionferà, non senza cavalleresco intervento del bel principe (evidentemente più coraggioso del plebeo Pierre aiutato da Pero nel classico del ’69). Il segreto del successo per Toei significa anche allargare il cast a personaggi secondari ma di grande effetto spettacolare come i due scoiattolini: intrusione che si ritrova in quasi tutti questi film, perfino già dal controcorrente “Hols” di Isao Takahata, per catturare l’attenzione del pubblico più giovane e divertirlo. Ma qui la colpa è dei film disneyani che cattiva influenza hanno avuto sui vertici aziendali di Toei (le scopiazzature a volte rendono poco). Vera protagonista del film è però la musica: se il ricordo ha reale consistenza nelle pulsazioni accelerate del cuore, questo si deve soprattutto a Peter Tchaikovsky (1840 – 1893) e al suo “Lago dei cigni” opera per balletto composta nel 1877 e rappresentata per la prima volta a Bolscioi che è finita ad accompagnare le scene più belle del film.
“La lampada di Aladino” nasce invece con la speranza di proseguire su quella strada. Il protagonista è un ladruncolo che ruba per sfamare la madre e un giorno viene avvicinato da un losco figuro che gli promette del denaro se entrerà in una grotta non distante dalla città per recuperare una antica lampada d’oro (e soltanto quella). Ma una volta all’interno, al cospetto di un magnifico tesoro, Aladino terrà per sé l’oggetto. Della serie: i sogni son desideri… Ma a quale prezzo, visto che per il ragazzo inizia anche una bella avventura. Lo stile di disegno passa nelle mani di Shinya Takahashi, un animatore di talento il cui nome scopriremo in opere quali “Uccello di fuoco 2772” e “Perfect Blue”. Uno stile che nulla ha a che vedere con il “classicismo” devoto del film precedente e che si integra a meraviglia con le animazioni molto al di sopra delle aspettative. La sceneggiatura la firma Akira Miyazaki, uno di casa presso Toei, così come veterano dello studio è il regista Yoshinori Kasai (Candy Candy). Entrambi i film sono propositivi e di grande impatto sul pubblico. La critica di allora gli riconobbe un bel tratto e il coraggio di osare e mettersi in mostra in un panorama di proposte ondivago e insicuro sul proprio futuro.
Caro fratello ti scrivo… - Che era ora uno sbarco in digitale. La Ikeda versione animata la si può amare in due modi: catapultandosi nella ferocia della Rivoluzione Francese (con immancabili innesti di romanticismo da fazzoletto intriso di lacrime, vedi anche: “Lady Oscar”) oppure frequentando le aule scolastiche di un esclusivo istituto femminile dove i vertici sono saldamente occupati da aristocratiche signorine d’altri tempi e la base è affollata di aspiranti tali. Parliamo ovviamente di “Caro fratello…” (Oniisama e…, 1991) la bellissima serie televisiva diretta da Osamu Dezaki (che la Ikeda l’aveva conosciuta nella metà più avvincente di Lady Oscar), e arricchita da quel nuovo stile visivo firmato Akio Sugino che ha preso prepotentemente piede nelle produzioni del regista. Uno stile elegante e sfarzoso ideale per le cospirative ambizioni romantiche dello shojo manga, sempre deciso a farsi strada nel cuore delle spettatrici. La storia è incentrata su Nanako Misonoo, adolescente con famiglia (quasi) perfetta che approda in una scuola esclusiva dove si studia tanto ma anche si macinano sufficiente vita mondana e bene educate frivolezze per diventare simulacri della vita familiare e domestica. Meglio se di alta classe (e avere sul libro paga domestiche e camerieri). Prendi Lady Miya e impara. Ma il prezzo del successo e della devozione ha sempre e comunque un lato oscuro, dietro cui si nascondono passati drammatici, esistenze affatto cristalline e un futuro che offre non chiare prospettive di serenità. Tutto dipende da come Nanako, splendida fanciulla nella sua ingenuità da novizia, riuscirà ad affrontare e superare le prove che il destino ha disseminato lungo il suo cammino. Tutti sanno che Dezaki era un disperato caso di autore che a malapena conosceva la materia di cui lo shojo era fatto. Eppure nelle sue mani “Caro fratello…”, come già “Jenny la tennista” (1973) e “Lady Oscar” (1979), diventa uno spettacolare e avvincente anime con colpi di scena magistrali e sequenze di straniante bellezza. Conturbante come pochi, questa serie è il fiore all’occhiello di tante produzioni shojo che altrove sembrano quasi sempre scivolare di mano agli autori. Il respiro della Ikeda lo puoi udire distintamente, l’immaginario “shojo” rispettato e sublimato come mai prima d’ora, ma il resto è tutta farina di quel geniaccio di Dezaki. Al quale bastano anche pochi fotogrammi congelati per raccontarti la forza di una emozione.
Poema omosex – C’è anche chi come Yoshikazu Yasuhiko, autentica celebrità di questi mesi, ha provato a ricordare ai suoi fan (e non solo loro, a questo punto) di che pasta autoriale è fatto. Che fosse un notevole creatore di personaggi è cosa nota (esempio supremo: Gundam). Che fosse un regista ambizioso e rigoroso, ma sfortunato con il pubblico abbiamo imparato a scoprirlo nel tempo (vedi: “Crusher Joe”, “Arion” e “Venus Wars”). Che fosse un magnifico autore di fumetti è verità sacrosanta di tutto il 2006, dalla A di “Alessandro Magno” alla tripla G di “Gesù”, “Giovanna D’Arco” e “Gundam – Origini”. Con l’ambizioso “Il poema del vento e degli alberi” (Kaze no Ki no Uta, 1987) si trova a confrontarsi (più di Dezaki) con uno dei capolavori acclamati della letteratura shojo e con una delle maestre del genere, Keiko Takemiya. Una difficile prova, ampiamente ricompensata sul piano artistico, che doveva esistere in altra forma e in altri colori (un seppia evocativo) e che alla fine ha trovato nel mercato degli OAV una scappatoia. Come se la sua vita animata fosse un complemento della sua vita a fumetti, indicativamente per un pubblico selezionato e di nicchia. Certo è complicato condensare in sessanta minuti l’opera immaginata dalla Takemiya (e infatti a questo video non faranno seguito i preventivati altri episodi) ma c’è nella rievocazione della storia del giovane Serge qualcosa che lo trascina in un olimpo indesiderato di personaggi tormentati e problematici. Esattamente alla stessa stregua di Gilbert Cocteau, il suo compagno di stanza, oggetto del desiderio che è luce e ombra. L’ambientazione è quella tipica dei fumetti di inclinazione gay per il pubblico femminile: un collegio francese di fine Ottocento. Un mondo a parte raffinato ed esclusivo, elegante ma anche ricco di sfumature che lasciano scorrere i pensieri. La Takemiya voleva che Yasuhiko firmasse a ogni costo la regia. È stata accontentata. Il successo sperato non ha dato segni della sua presenza, ma intanto Yas ha dimostrato di cavarsela benissimo a dare corpo ai personaggi tormentati e di saperli muovere sullo schermo.
L’altra corazzata – Per coloro che fossero a corto di certezze, eccone una in differita dal 1979: la corazzata Yamato non è mai stata sola. Lasciate perdere ogni appiglio alla recente proliferazione di “navi spaziali” che sembrano ripescate dagli annali della Marina Giapponese di mezzo secolo fa e concentrate l’attenzione su Yoshinobu Nishizaki. Ne avrete già sentito parlare (vedi Man·ga! numero 1) come di colui che infuse vita alla soap opera di derivazione science fiction di maggior successo nella storia degli anime: “Uchû Senkan Yamato”. Melodramma e azione erano gli ingredienti di facile uso per quei tempi e il successo garantì a lui, e al socio Leiji Matsumoto che ne fece un dignitoso fumetto, di continuare per lungo tempo la saga del Capitano Avatar (al secolo Juzo Okita) e dei membri dell’equipaggio della Yamato (per il diletto dei programmatori italiani: l’Argo). Ma mentre quella serie gloriosa accendeva il cuore di milioni spettatori, complice l’epica e trascinante sigla, Nishizaki scommette su un soggetto non molto diverso e crea “Blue Noah” (Uchû Kubo Blue Noa, 1979-80) sempre appoggiandosi alla West Cape Corporation. La trama della serie tv aiuta a capire: “In un prossimo futuro, una stella in procinto di trasformarsi in una supernova obbliga gli abitanti del pianeta Gotham a vagare nello spazio alla disperata ricerca di una nuova casa. Il Comandante supremo Zeitel, capo dei gothamiani, decide di occupare la Terra per trasformarla in un pianeta adatto alla fisiologia gothamiana. A questo folle piano si oppone l’equipaggio della Blue Noah, l’unica nave da combattimento superstite dell’esercito terrestre. Il comandante Domon dovrà sventare gli attacchi del nemico prima di raggiungere la base segreta sottomarina alle Bermuda, dove la grande nave potrà essere trasformata in astronave per attaccare il satellite Gotham. Dopo numerosi scontri, non sempre vittoriosi, si arriverà all’incontro decisivo nello spazio tra la Blue Noah e l’unica astronave superstite della flotta gothamiana al comando dell’ultimo comandante nemico: la posta in palio è la Terra”. Cliché e stereotipi tornano alla grande. Sbaglia però chi, ancora oggi, indica minaccioso la nave Blue Noah come sorellastra della corazzata Yamato. L’idea di Nishizaki è sempre stata quella di isolare le vicende galattiche di certa animazione giapponese e di giocare con la forza di sentimenti basilari da imponente romanzo d’avventura: l’amore, la nobiltà d’animo, il coraggio e il sacrificio. Non è soltanto il pianeta Terra a essere in pericolo, dice Nishizaki, ma il nostro stesso animo. «Ganbare!» direbbero gli eroi e le eroine di questo genere.
Una rosa senza spine – Dal manga cult di Michiyo Akaishi torna una delle serie televisive più attese e chiacchierate: “Alpen Rose” (Honoo no Alpen Rose, 1985). Di questo tormentato shojo anime s’è sempre conosciuto il destino ingrato che i programmatori televisivi nei primi anni ’80 gli hanno abilmente riservato censurando e tagliando numerose scene, così da impedire un corretto scorrimento della serie e una comprensione più nitida della storia. Colpevole l’ambientazione della “rosa alpina” in quel contesto storico che sono stati gli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale in Europa con la dominazione nazista. Un argomento difficile da trattare e pericoloso quando altri pretendono di sfatarne la lugubre ombra di morte che si è lasciato dietro. Però è la storia in cui si trova a vivere Judi che in seguito a incidente aereo perde la memoria e non ricorda nulla del suo passato, compreso il luogo dove si trovano i suoi genitori. Con la guerra che incendia l’Europa, la missione di Judi è proprio quella di scoprire che fine abbia fatto la propria famiglia, ma questa volta non sarà sola con i suoi confusi ricordi. L’anime tv torna in dvd in un’edizione integrale con nuovo doppiaggio proprio per rifarsi delle angherie subite in passato e rivelare agli appassionati della serie ciò che la messa in onda televisiva ha oscurato e cancellato. Resta il fascino di un’epoca lontana e di personaggi romantici loro malgrado: merito del character design ricreato dalla disegnatrice più amata e popolare nel Giappone degli anni ’80, Akemi Takada (Orange Road, Creamy). Un’opera da rivalutare e non solo per la nicchia delle lettrici di shojo manga.
 
Il lago dei cigni © 1981 Toei Company Ltd./La Lampada di Aladino © 1982 Toei Company Ltd./Blue Noah © 1979 West Cape Corporation/Il poema del vento e degli alberi © 1987 Keiko Takemiya/Shogakukan /Herald/ Caro fratello… © 1991 NHK Enterprises Inc./Ikeda Riyoko Productions/Tezuka Productions/Alpen Rose © 1985 Michiyo Akaishi/Tatsunoko Prod.

 
 
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L'Uomo Tigre

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City Hunter - Serie tv

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Welcome to the NHK

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Capeta

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MAN-GA - SKY 149

Maison Ikkoku - Cara dolce Kyoko

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Mimě e la nazionale di pallavolo

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Ransie la strega

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