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Personaggio del Mese: che fiuto, Sherlock

In versione canina non è meno simpatico di quella in carne e ossa. Soprattutto non è meno abile e intuitivo nel combattere il crimine con la forza dell’arguzia. A Cartoonia se lo ricordano tutti come un personaggio riuscito a metà, perché a un certo momento il genio di Hayao Miyazaki, al quale gli si deve ogni grammo di popolarità, venne reclamato altrove. Eppure a vent’anni di distanza dalle tribolazioni produttive “Il fiuto di Sherlock Holmes” resta una delle serie più amate dal pubblico. Ed è anche l’ultima volta in cui il regista premio Oscar si è concesso anima e corpo all’industria televisiva.
 
 
L’avessero lasciato fare, probabilmente il cosiddetto Dio degli anime avrebbe seminato volentieri altre tracce della sua proverbiale genialità su tutti i ventisei episodi di cui si compone la serie, anziché i sei che sono a modo loro entrati nella storia e nel cuore dei fan di Miyazaki. Sia chiaro: c’erano ragioni ben precise per motivare un simile abbandono. Il fumetto di “Nausicaä della valle del vento” attendeva di vedere la luce ma la verità è anche un’altra. Nobile cosa appioppare scuse non ufficiali per la ritirata strategica del regista ma quando ci vuole, ci vuole. Chiunque al suo posto l’avrebbe fatto se, sopra la sua testa di animatore precario e in crisi (insegnare alle matricole di TMS le regole fondamentali della regia è un passatempo poco creativo, pure collaborare a qualche scena di passaggio in serie altrui…), i vertici aziendali faticavano a trovare il modo e il tempo di indirizzare con maggiore precisione e tempistiche adeguate una serie tv che neanche era ancora nata. Eppure nel 1981 tutti erano piuttosto entusiasti e convinti dell’operazione “Sherlock Hound” (all’epoca l’anime si chiamava così).Tutti, compresi i partner italiani della Rai e dello Studio Rever che stavano cercando nel Sol Levante affidabili soci per investire sulle proposte di Luciano Staffa, il produttore italiano che sta dietro la nascita del detective inglese a disegni animati in collaborazione con Marco e Gi Pagot. I denti aguzzi e il manto peloso ce li metterà Miyazaki che in quegli anni lavorava presso TMS e Telecom Animation Studio ma aveva sufficienti carte da giocare dopo aver realizzato “Conan il ragazzo del futuro” e “Lupin III – Il Castello di Cagliostro”. E infatti, quando pure lui diventerà famoso davvero, le cose si faranno diverse e tutta la gloria finirà nelle sue tasche, giocando addirittura con gli amici italiani facendo finire il nome di Marco Pagot nel film “Porco Rosso”. Altro eclatante esempio, quel “Hayao Miyazaki & Telecom Animation Film presents” che compare in alcuni libri illustrati sulla serie. Giusto per lasciar intendere chi davvero merita il numero maggiore di complimenti. 
 
Cartoni animali
Che tutto sia regolarmente al proprio posto è deduzione elementare: Sherlock Holmes abita sempre al numero 221/b di Baker Street. Nella gloriosa Londra di fine Ottocento i personaggi più celebri immaginati da Sir Arthur Conan Doyle riprendono vita e ruoli: il nemico giurato resta il Professor Moriarty (con accento torinese, ma solo in Italia) e a Scotland Yard l’ispettore Lestrade fa ancora il suo dovere in perpetua concorrenza con il detective privato. Pure Mrs Hudson è fedelmente al suo posto, anche se la mitologia miyazakiana ha avuto in serbo per lei un destino molto diverso e in linea con i personaggi femminili del regista.
Sir Conan Doyle non aveva però previsto il colpo di mano della fantasia dei cartoonist che, tra inghippi legali e sensata pruderie estetica tutta nipponica, avevano ripopolato il Regno di Sua Maestà di adorabili cani e cagnoni antropomorfi. Ma tranquilli, l’era vittoriana si annusa benissimo tra location rispettose delle proporzioni storiche e stradine affollate di carrozze e primordiali veicoli a carbone. La linea di confine tra realtà e immaginario la supererà solo il genio fantastico di Miyazaki, ovvio. L’idea dei “nuovi” personaggi è tutta italiana ma i partner giapponesi non sembrano gradire la trovata, forse perché questo tipo di produzioni erano alla saturazione in un mercato così florido come quello del Sol Levante. A storcere per primo il naso è proprio Miyazaki. Al quale tocca udire che questo “Sherlock Hound” servirà a divertire il pubblico di ragazzini che nella percezione spettacolare italiana è sacrosanto e inviolabile comandamento. Nelle sue note di lavoro il regista segnerà un appunto da miscredente circa l’idea degli amici italiani ma il progetto va avanti comunque. È il momento di tirare fuori la matita e ingegnarsi a disegnare bozze e image board da sottoporre allo Studio Rever. Nel mese di aprile del 1981 Miyazaki crea i personaggi della serie a modo suo e immagina un Holmes dall’aria pelandrona e disordinata (qualcosa resterà) ma soprattutto ha la pretesa di volere una Mrs Hudson totalmente umana, unica in un mondo di cani, a dispetto del progetto originale che la preferiva più burbera e allargata nella taglia e nelle misure così da incrementare la fame di umorismo e divertimento che Marco Pagot e soci desideravano. Sarà Yoshifumi Kondo, collega e amico di lunga data di Miyazaki, a salvare la situazione con il suo prezioso ed elegante tratto, umanizzando quanto più possibile i lineamenti dei personaggi (per la cronaca la bella scena tratta dal pilot “La piccola cliente” con la giovane protagonista che si presenta al detective è tutto merito suo…). L’animatore italiano si reca nell’agosto dello stesso anno per confrontarsi con i partner e discutere lo sviluppo delle storie. Probabilmente ancora ignora l’abitudine di Miyazaki a beneficiare di budget elevati per le produzioni televisive (come ai tempi di “Conan il ragazzo del futuro”) e standard qualitativi che sono più impegnativi del normale, tipo quasi diecimila disegni per un singolo episodio. I risultati si vedono soprattutto nell’episodio pilota “La piccola cliente” con scene ricche e ariose, movimenti di camera tipici del regista giapponese e indiscutibile perfezione. Ma prima di arrivare a questo traguardo, occorre che lo Studio Rever e la Rai decidano in base al materiale inviato da Miyazaki, al quale vogliono affidare la regia perché pure loro erano rimasti folgorati dal suo esordio sul piccolo schermo con “Conan”. Novembre 1981, i disegni di Miyazaki colpiscono favorevolmente i partner e già a dicembre si inizia la lavorazione dell’episodio pilota che, nella controversa programmazione della serie su Asahi National Broadcasting nel 1984 diventerà il terzo in ordine di messa in onda. È a questo punto che iniziano i guai. Per tutti.
 
L’estate del nostro scontento
Sei mesi dopo, la situazione generale vede quattro episodi pronti (La piccola cliente, Lo smeraldo blu, Il tesoro sommerso e Le sterline mancanti) e due (Il rapimento di Mrs Hudson, Le scogliere di Dover) bruscamente interrotti nella lavorazione nonostante recassero tutti la firma di Miyazaki come autore degli storyboard e della regia. Gli italiani sono già un ricordo. Impressionati dalle spese irriguardose servite per la realizzazione e schiacciati, metaforicamente, dalla personalità forte del regista giapponese abbandonano presto i partner. Insomma: Goodbye Mister Holmes! Contrattualmente la serie è però anche loro e quindi la Rai non avrà imposizioni circa la messa in onda del cartoon in Italia.
Nel frattempo la vita di Miyazaki è pronta a cambiare: Tokuma Shoten già dal febbraio 1982 gli pubblica il fumetto “Nausicaä” sulle pagine del mensile «Animage» e, intuito l’andazzo precario in cui versa la serie televisiva, lascia agli amici della TMS e dello studio Telecom tutto il fardello e ogni problema. Sayonara, Miya-san. Ma, non ci fossero stati loro, oggi “Il fiuto di Sherlock Holmes” sarebbe diventato un cartoon alla deriva. Prima di riprendere in mano il destino del famoso detective tocca aspettare infatti il 1984 quando Miyazaki comincia a dirigere il film capolavoro tratto dal suo manga. È una di quelle circostanze della casualità che talvolta succedono e Holmes dovrebbe almeno un pizzico di riconoscenza alla principessa della valle del vento per la chance che gli viene offerta per non essere totalmente lasciato nel dimenticatoio. Viene stabilito di affiancare al film “Nausicaä” un doppio episodio di Sherlock Holmes, “Il tesoro sommerso” e “Lo smeraldo blu”, e l’incredibile successo al botteghino convince i produttori a scommettere di nuovo sulla serie. In poco meno di sette mesi Kyosuke Mikuriya assume la direzione dei venti episodi mancanti con il sostegno tecnico di Telecom Animation e la preziosa collaborazione di Kenji Hayawaka e Seiji Okuda – già presenze di tutto rispetto nello staff di Miyazaki. È una lotta contro il tempo ma “Il fiuto di Sherlock Holmes” è pronto per il debutto su Asahi TV il 6 novembre 1984. Curiosamente tra la versione per il grande schermo e le puntate televisive si notano subito alcune sostanziali differenze: un cast diverso e un accompagnamento sonoro tutto nuovo rispetto a quanto già musicato da Kentaro Haneda. Ma c’è anche chi ha rilevato importanti varianti e animazioni perfezionate nel passaggio dalla versione televisiva a quella cinematografica. Pur se non accreditato nei titoli, un maestro delle scene d’azione come Yasuo Otsuka viene accolto a braccia aperte per risistemare la sequenza dell’inseguimento in città nell’episodio “Lo smeraldo blu”. Un altro animatore non presente dei credits è Tsukasa Tannai, mentre tra una versione e l’altra aumentano non soltanto gli animatori chiave ma pure gli intercalatori. Tutti nomi che fanno parte del dream team di tante produzioni di Miyazaki e Isao Takahata. Vedi anche: Michiyo Sakurai (Anna dai capelli rossi), Kazuhide Tomonaga (Lupin III), Atsuko Tanaka e Makiko Futaki che neanche due anni dopo si occuperanno degli inserti animati nel documentario di Takahata “Yanagawa Horiwari Monogatari” (1987). C’è anche un giovane Umanosuke Iida, bravissimo nelle scene più complicate da disegnare e movimentare, che oggi è regista apprezzato e devoto allievo delle opere miyazakiane (esempio supremo, l’anime del 2005 “Tide-Line Blue”).
L’operazione è così ben accolta che altri due episodi della serie accompagneranno il destino di un altro film di Miyazaki, “Laputa – Castello nel cielo” (1986), scortato in sala dagli episodi “Il rapimento di Mrs Hudson” e “Le scogliere di Dover”. Naturalmente nelle mani di Mikuriya la sopravvissuta serie tv si attesta su un livello qualitativo più modesto rispetto a quanto già realizzato e le storie tendono a riportare con didascalico impegno il confronto inesauribile di trovate tra Holmes e Moriarty. Ma è quasi come se il principale fomentatore di quelle avventure non se ne fosse mai andato.
 
Londra, città da cani
Con o senza Miyazaki, il mondo di Holmes è densamente popolato di immaginario che solletica non soltanto coloro che adorano le chincaglierie meccaniche del regista, sempre potenti e ingigantite (la corazzata in “Il tesoro sommerso”) o fantasiose combinazioni tecnologiche che consentono di tenere i piedi piantati a terra o di librarsi in aria con estrema, e gioiosa, facilità. Ma è un immaginario docile e divertente che riesce a sopravvivere grazie ai personaggi e a una fioritura inattesa di ruoli secondari non meno importanti dei protagonisti. A voler restringere il campo, il pelandrone Holmes è tipo da togliersi le scarpe e schiacciare pisolini leggendari sulla poltrona senza privarsi della pipa ma al momento giusto è una saetta in azione, molto più dell’originale in carne e ossa. Dietro i baffoni neri il dottor Watson nasconde un’indole di mesta solennità ma pure lui sa ringhiare quando necessario. Probabilmente però il colpo di genio sta altrove, in quella miracolosa figura femminile di una giovane Mrs Hudosn, già vedova, attorno alla quale viene costruita una roccaforte di sentimenti e fascino da risultare inviolabile oggetto del desiderio per Moriarty e sgherri. Ma sostanzialmente di chiunque. Una che ha un passato tale da diventare esso stesso motore di azione e grande spettacolo come succede in “Il rapimento di Mrs Hudson”. Forse nessuno aveva ancora capito che in lei c’era lo spericolato dna di futuri altri personaggi femminili creati da Miyazaki. La passiva cortesia e le apprezzate buone maniere “all’inglese” di questo personaggio nascondono tutta l’irruenza a uscire dagli schemi che di questo regista sarà materia di grande dibattimento. Facile intuire perché Miyazaki la volesse unico essere umano in un mondo bestiale.
E poi c’è Londra. Pelosa come non mai, d’accordo, ingenuamente aggrappata a una Belle Epoque dorata e impermeabile, dove il male maggiore fa unicamente rima col nome di quella sagoma di Moriarty. Ma provate a dimenticare il latente bellicismo della serie e perderete probabilmente di vista l’impressione autoriale ed estetica che nei primi anni ’80 un regista precario e in crisi come Miyazaki stava iniettando nelle sue opere. L’avessero convinto a proseguire al suo onorario e oggi “Il fiuto di Sherlock Holmes” sarebbe un’opera di inestimabile valore nella filmografia del regista e non un parziale tributo al suo genio.
 
di Mario A. Rumor
 
 
© 1984 TMS - Rai

 
 
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