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Approfondimenti

Naufragar m'č dolce in questo mare (di lentiggini)

I classici di Nippon Animation sono tornati di moda, e in dvd (grazie a Dolmen Home Video). Serial a disegni animati come “Heidi”, “Anna dai capelli rossi” e “Marco” hanno segnato un’intera generazione di spettatori (compresi genitori e parenti vari) e si sono puntualmente segnalati come i più replicati in televisione. Dietro un marchio di fabbrica c’è però l’anima di persone come Isao Takahata, Yoshiyuki Tomino, Kazuo Fukazawa e Yôichi Kotabe. Tutti innamorati della letteratura per ragazzi. Compreso il puntiglioso Hayao Miyazaki, che di troppi piagnistei non ha mai saputo bene che farsene. Ma siamo sicuri che di piagnistei si tratta? MAN·GA! è andato a conoscere la seconda più famosa eroina di questi serial, Anna Shirley del Tetto Verde, e ha scoperto un’inconfessabile verità…
 
La prima volta che spunta sullo schermo, Anna Shirley è seduta su alcuni sacchi di grano in fremente attesa. Il suo ingresso nel mondo dell’animazione è segnato dal talento poetico di Yoshifumi Kondo (è lui l’ideatore di quel magnifico ritratto) e da un’irrinunciabile voglia a fantasticare che subito la porta con lo sguardo a fissare con aria contemplativa oltre i binari della stanzioncina di Bright River dove troneggiano alcuni alberi in fiore. Ci vuole la flemma del vecchio Matthew Cuthberg a distrarla da quella vista e riportarla sulla terra. La promessa è quella di una casa, una famiglia dove rifarsi una vita e liberarsi dell’ingombrante passato patito negli orfanotrofi. Sappiamo che per almeno un paio di puntate la bimba con i celebri capelli rossi e le lentiggini dovrà far leva sulla speranza dal momento che, nell’ordine: 1) non è il maschio richiesto dai Cutherg; 2) la famiglia è composta da due anziani fratelli e 3) il tremendo passato è già pronto a materializzarsi nella persona della signora Blewett, zero sentimenti e tanta voglia di avere una serva piuttosto di una figlia da adottare, che per qualche istante sembra la nuova candidata a governare il destino della bambina.
Se non avete mai seguito la serie tv diretta nel 1979 da Isao Takahata, questo è il vostro momento. Se non avete mai letto il bellissimo romanzo di Lucy M. Montgomery, oltre ad aver commesso peccato mortale ed esservi inguaiati con la Giustizia letteraria, beh accomodatevi: librerie e biblioteche restano sempre a disposizione. Sono concesse scusanti del tipo: non ho visto “Anna dai capelli rossi” ma conosco a memoria le vicende di “Heidi”, “Marco” o “Pollyanna”. Buon per voi. Significa che con il “Sekai Meisaku Gekijo” un po’ avete avuto a che fare nel corso della vostra infanzia. Riproponete la complicata serie di vocaboli giapponesi alle certezze culturali di oggi e avrete una definizione certo più lunga, ma decisamente più chiara: “I capolavori della letteratura mondiale”. Romanzi in lingua inglese, ma non tutti, che a partire dai primi anni ’70 l’industria dei cartoon ha pensato di trasformare in serial animati. Quasi tutti di successo. Praticamente quasi tutti giunti incolumi nel corso dell’invasione “gialla” nei palinsesti locali. Spesso devoti al più micidiale degli ingredienti per farsi strada nel concorrenziale panorama degli anime: il sentimento. Soprattutto, quasi tutti prodotti da Nippon Animation ad eccezione di “Remì” (1977) e “Il mio amico Patrashe” (1993) che fanno parte della storia di Tokyo Movie Shinsha. La pacchia finisce amaramente nel 1997 dopo ben 23 produzioni con “Remì la bambina senza famiglia” che con il suo share dell’8,4 per cento convince Nippon a concentrarsi su altri lavori e nuove tendenze di mercato. Qualcosa s’è ridestato però. A gennaio 2007 debutterà su Fuji Tv l’atteso “Les Miserables – Shojo Cosette”, tratto da Victor Hugo, insigne prodotto televisivo (nonostante il poco convincente character design) da testare ai gusti spettatoriali di oggi. La verità però la sanno tutti. Il periodo d’oro non tornerà perché sono cambiate le premure di autori e sceneggiatori (che negli anni ’70 evidentemente sentivano di aver qualcosa da dire) e pure le esigenze del pubblico più giovane, ormai rassegnato a ibridazioni di poca sostanza e cattivo gusto. Come la volta in cui, questione di neanche due anni fa, i giapponesi dei cartoon si sono inventati di accostare Miss Marple e l’esimio detective belga Hercule Poirot in una serie animata per ragazzi. Dal cimitero di Cholsey, Oxfordshire, Agatha Christie non ha ancora dato segni di irascibilità tombale. Però dovrebbe…
 
Che i pargoli vengano a me
Eppure trent’anni fa Isao Takahata aveva visto giusto. I ragazzini di oggi hanno un sacco di problemi e la letteratura per l’infanzia è il terreno più fertile per raccontare quel mondo di adulti in miniatura (perché questa è la verità) e percorrere in lungo e in largo problemi e angosce senza reali confini. Vuoi mettere quanto è più facile con la scorta infinita di bimbi e bimbe senza genitori o con mamma e papà costretti a “esistere” altrove? Negli anni ’70 la formula era più che vincente: migliaia di pagine, anche a fumetti, ci hanno (tele)trasmesso un senso del disagio generazionale che aveva radici profonde nella storia di quella nazione, con tutte le angoscianti prospettive per il futuro. Neanche la galoppante crescita economica riusciva a ripristinare un barlume di serenità, solo uno smisurato senso di egocentrismo di massa di cui ancora oggi qualcosa ritroviamo nel loro caustico dna. Dimenticarsi di mondi fantastici e collezioni infinite di robot è sembrato l’antidoto giusto per imbarcarsi in un tipo di animazione che fosse, finalmente, fatta su misura per il pubblico straniero. La logica del business è l’ultima a morire, tutti d’accordo. Ma all’inizio quegli autori, e Takahata ne è il precursore o quanto meno l’interlocutore più fortunato, si domandavano con insistenza se il messaggio sarebbe giunto a destinazione (in Spagna “Heidi” conobbe un successo enorme e i quotidiani nipponici dell’epoca riportarono con orgoglio il fatto). Tutto avviene secoli prima che sociologici, psicoterapeuti o semplici imbecilli dei media cercassero di affossare tutto quanto nella logica assassina di una cultura aliena (lo shintoismo, horror vacui di tanta spazzatura del genere) che profanasse la testolina santa dei bimbi di allora. Quelli di oggi? Spiacenti, non sappiamo dirvi: sono perduti nei meandri di Internet o archiviati nella memoria dei telefonini.
Il meisaku è in realtà lo specchio dell’anima. Bastano venticinque minuti di un qualunque episodio di “Heidi” o “Marco” per rendersene conto. I piagnistei, come li chiamava Miyazaki, ci sono eccome. Ma lui alla realtà non era interessato come il collega. Con tutta la buona volontà di chi proseguì la corsa in Nippon Animation, è difficile trovare testamenti spirituali così ricchi e completi oltre i tre grandi serial diretti da Takahata. E “Anna dai capelli rossi”, che chiude la collaborazione del regista con quello Studio, è non solo un immenso capolavoro televisivo ma anche il più lucido ritratto di un’infanzia meravigliosa, avida di penetrare le cose del mondo. Nei suoi cinquanta episodi transita di tutto. La vita è filtrata dalla poesia, dall’ironia, dai doveri e dalle necessità più semplici che attraversano l’esistenza delle persone: perfino le chiacchiere della signora Lynde sono lì a farci sentire più vivi. Al resto ci pensano i colori delle stagioni che cambiano di abito, i segni di una quotidianità umile e aggrappata a poche ma buone certezze (il rapporto con la comunità, la devozione per la Chiesa, un titolo di studio e un lavoro per riuscire a mantenersi, la frizzante novità della vita in città). Pure la morte si ritaglia un posto di riguardo. E quando sopraggiunge, non resta altro da fare che unirsi all’elaborazione del lutto inscenata da Takahata. Altri piagnistei? Probabile. Ma efficaci.
 
Girls’ Power
Ragazze fortunate, le adolescenti nipponiche. Ancor prima che lo shojo manga svelasse un nuovo mondo per interpretare e leggere la dimensione femminile delle giovani lettrici, c’era già chi si interessava a redimere l’egocentrismo maschile. Quello letterario, s’intende. Nel 1939 la signora Hanako Muraoka, allieva in una scuola cattolica di una Missione canadese a Tokyo, la Toyo-Eiwa, scopre per la prima volta il nome di Lucy M. Montgomery e si innamora del romanzo “Anne of Green Gables” che era stato pubblicato in America nel 1908. Sarà il primo di una serie di colpi di fulmine che la portano a contatto con la letteratura anglosassone per l’infanzia. E non solo quella. Come traduttrice si impegnerà a vedere pubblicati i romanzi di Mark Twain, Charles Dickens ed Eleonor Hodgman Porter. Titoli che diventeranno bestseller. Poi ci si mette di mezzo la guerra, come se il clima repressivo e censorio già non bastasse a restringere ogni libertà: Hanako ricorda di aver letto i romanzi della Montgomery di nascosto. Con la guerra gli amici della Missione sono costretti ovviamente a lasciare il paese. Ma la donna è già al lavoro, in gran segreto sta traducendo nella sua lingua il primo romanzo della serie “Anne of Green Gables”. Addirittura se lo porta dietro nei rifugi antiaerei per timore di smarrire il manoscritto. Del segreto sono a conoscenza il marito e la figlia Midori, che alla fine suggerirà il titolo giapponese “Akage no An”. Impensabile vederlo pubblicato al termine della guerra, la signora Hanako è costretta ad attendere ancora fino al 1952 quando l’editore Mikasa-Shobou scommette il tutto per tutto su questo libro (oggi le edizioni di “Anne” tradotte e rivedute dalla Muraoka sono edite da Shinchosha, lo stesso editore che ha pubblicato “Hotaru no haka” di Akiyuki Nosaka e co-prodotto il film di Takahata). Una scommessa vincente.
Hanako ha sempre detto di aver tradotto l’opera della Montgomery per due ragioni fondamentali: la passione smisurata per l’orfanella che vive ad Avonlea e l’amicizia profonda che la legava agli amici della Missione. E non era la sola, dal momento che per oltre cento anni i rapporti tra Giappone e Canada si erano basati su reciproca stima e grande fratellanza. Il romanzo diventa uno dei libri più popolari fra le ragazzine cresciute negli anni ’60 e ‘70 e con la serie tv animata la popolarità dell’Isola Prince Edward (dove il romanzo è ambientato) cresce a dismisura dando vita a un intenso “traffico turistico” di lettori e lettrici con passaporto giapponese pronti a sbarcare ad Halifax e dirigersi nei luoghi di infanzia della scrittrice e della “loro” Anne. Hanako Muraoka non esaudirà mai quel desiderio: muore il 25 ottobre 1968 e ogni legame con quel mondo meraviglioso e poetico resterà unicamente intrecciato alle parole della Montgomery che, in parte, diventarono anche sue.
Anne Shirley userebbe le parole “kindred spirits” (anime gemelle) per spiegare tale affinità. Chi ha occhio però, di solito va a cercare in quei venti anni di distanza che separano la nascita di Lucy Montgomery (1874) e quella di Hanako (1893). Un incrocio che virtualmente, e senza saperlo, mette sulla stessa strada le due donne. Una pubblica (su insistenza dell’editore americano) le avventure di un suo simpatico alter ego dai capelli rossi (1908), l’altra le scopre negli anni in cui si diploma presso la Toyo-Eiwa (1910). Ci sono un sacco di altre affinità tra le due. Ad esempio il senso per la modernità e per una riaffermazione della donna all’interno dell’ordine sociale delle cose si conciliavano con il rispetto delle tradizioni e delle convenzioni. Pare un controsenso ideologico, eppure è così. La donna e la scrittrice (anche la Muraoka pubblicò libri suoi) conoscevano bene il confine tra immaginazione e realtà, entrambe innamorate della letteratura, ma sapevano anche di dover essere prima di tutto mogli e madri. In questo clima così intimamente pragmatico si concretizza la nascita di personaggi come Anne Shirley. La Montgomery la inventa, la Muraoka la fa rivivere per un popolo con tradizioni culturali molto lontane da quelle anglosassoni. È un passaggio di consegne di inestimabile valore (che oggi la nostra generazione ritrova nei saggi della scrittrice Yuko Matsumoto) che cela anche diverse circostanze di vita personale. Soprattutto: è come se Anne fosse nata e cresciuta per assurgere a modello per donne davvero libere da contraddizioni. Una sognatrice che si avventura tra gli adulti per svelare di che pasta è fatto il mondo. E nel momento stesso in cui le pagine del romanzo (e le immagini del serial) diventano una fonte di passione infinita per maschi e femmine, senza distinzioni di “genere”, ogni barriera crolla per lasciare posto a quel famigerato specchio dell’anima a cui si alludeva poco sopra. Non importa con quale strumento (libri, cartoon, film) tutto ciò arriva comunque, perché nel momento stesso in cui avviene noi siamo già parte di “quella” storia.
 
Akiko Uchiyama: la parola a un’esperta
Ma la storia non finisce qui. Con l’abituale curiosità che ci contraddistingue abbiamo voluto interrogare sul fenomeno una dei tanti studiosi che si occupano della faccenda, con buona pace del silenzio assoluto che regna in ambito accademico (e non solo lì) nel nostro Paese. Akiko Uchiyama, dall’Australia, ha così risposto ad alcune nostre domande.
Ho l’impressione che il romanzo “Anne of Green Gables” (Anna dai capelli rossi, edito in Italia da Mursia) sia ancora oggi una pietra miliare per i lettori giapponesi, perfino più popolare di celebrità come Frances Burnett o Eleonor H. Porter. Anche la letteratura scientifica sull’argomento non riesce a fare a meno del nome di Anne Shirley. Qual è la ragione di tale popolarità e quale seguito esiste oggi nel suo Paese?
È un fenomeno interessante. “Akage no An” (Anne of Green Gables) è opinabilmente il più popolare romanzo per ragazze tradotto in Giappone. Alcuni devotissimi lettori, una volta cresciuti, hanno sentito il bisogno di visitare l’isola di Prince Edward dove il romanzo è ambientato. Ci sono molte ragioni che spiegano questa popolarità. Una cosa piuttosto interessante oggi è l’esistenza di diverse traduzioni disponibili allo stesso tempo sul mercato, alcune destinate ai lettori più giovani, altre per un pubblico di lettrici più adulto. Così il lettore può decidere di “crescere” attraverso diverse versioni dello stesso romanzo, facendo esperienza su “nuove” interpretazioni. La cerchia dei lettori sia adulti che bambini è unico in Giappone.
Lei ritiene che serie come “Heidi” (Alps no shojo Haiji, 1974) e tutti i cartoon concepiti alla Nippon Animation (conosciuti anche come “Sekai Meisaku Gekijo”) possano essere una sorta di surrogato alla lettura, soprattutto per un altro tipo di generazione?
È difficile dirlo. La mia impressione è che lettura e serie animate siano due differenti esperienze, sebbene esse riescano a completarsi a vicenda. Il “Sekai Meisaku Gekijo” è un meraviglioso contenitore di produzioni; se queste storie raggiungono i giovani che non sono riusciti ad avere un contatto diretto con i romanzi, allora “la lettura surrogato” è una preziosa esperienza. Sarebbe utile e buona cosa se la produzioni anime invitassero il pubblico a leggere anche i romanzi d’origine.
È solo un’idea: può la letteratura per ragazze tradotta in Giappone nei primi anni ’50 – concepita altrove e in altri tempi da romanzieri come la Montgomery, la Porter e molti altri – aver spianato la strada allo shojo manga? O si tratta di due percorsi culturali totalmente estranei?
Lo shojo manga è possibilmente stato influenzato da molti aspetti (non che io sia un’esperta di fumetto per ragazze, precisiamo). Lo shojo manga e quella che potremo chiamare “letteratura shojo” sembrano condividere parecchie tematiche, tipo un ideologia d’amore molto romantica. Questa è un’interessante area di indagine, ma non ne so molto oltre riconoscerne identici legami.
Vorrebbe introdurre la figura di Hanako Muraoka? Soprattutto, crede sia stata una donna in anticipo sui tempi e quale eredità ha lasciato?
Hanako Muraoka (1893 – 1968) tradusse moltissimi libri per bambini, incluso “Anne of Green Gables” che fu pubblicato in Giappone per la prima volta nel 1952 con il titolo “Akage no An”. Le traduzioni successive mantennero il titolo giapponese (che significa “Anna dai capelli rossi”), e la brillante traduzione della narrazione fatta dalla Muraoka attrasse numerosi lettori. Era anche conosciuta per un programma radiofonico dedicato ai bambini. È stata soprattutto una notevole donna in carriera in un’epoca nella quale alle donne non venivano assegnati ruoli importanti nella società – in questo senso era una donna in anticipo sui tempi. Lei d’altra parte aveva lo spirito tipico dell’Era Meiji (epoca storica che va dal 1868 al 1912), a sentire le sue nipoti, ed era una madre e moglie devota. Immagino la Muraoka come una donna tenace coi piedi per terra che fece del suo meglio in mezzo a difficoltà e circostanze avverse. Questa forza sembra essere condivisa sia da Lucy M. Montgomery sia da Anne Shirley ed è la qualità più evidente che ammiriamo in quei romanzi.
Qual è la centralità che ha dato ai suoi studi sulla scrittrice Lucy M. Montgomery e i romanzi della serie “Green Gables”?
Ho studiato per tantissimo tempo la vita della Montgomery e i romanzi dedicati ad Anne. Ho in animo di estendere l’ampiezza di questi studi anche su altri romanzi per ragazze come “Wakakusa Monogatari” (Piccole donne) e “Himitsu no hanazono” (Il giardino segreto). Queste traduzioni sono state letteralmente adorate dalle lettrici giapponesi, soprattutto quelle giovani cresciute tra gli anni ’60 e ’70.
Dunque qual è la ragione di questo fascino? Il personaggio principale o “l’esotica” isola Prince Edward?
Come ho detto, esistono numerose ragioni circa la popolarità dei romanzi. La protagonista Anne Shirley è certamente un personaggio adorabile grazie al suo spirito libero, la sua spontaneità e la vivida immaginazione. La sua attitudine sempre positiva associata al suo passato di orfana possono evocare sentimenti di empatia e simpatia tra i lettori giapponesi. La bellezza naturale di Prince Edward è anch’essa un fattore di fascino. Nei miei studi ho spesso discusso di un “dare forza” e di un aspetto “confortante” come attrattiva sul pubblico giapponese usando, per meglio chiarire il concetto, le parole chiave “pragmatismo” e “fuga”. In poche parole i lettori del mio Paese desiderano essere rafforzati spiritualmente grazie ai sentimenti che un paradiso come Avonlea riesce a evocare.
Quando ha letto per la prima volta il romanzo della Montgomery?
Non ricordo con esattezza la prima volta che l’ho letto, probabilmente quando avevo dieci o undici anni. Ricordo i miei sentimenti di allora su Anne: questa ragazza libera e vivace, forse più o meno consapevole della sua libertà e così slegata dalle convenzioni sociali da poter dire e fare ciò che davvero le piace. Naturalmente, da ragazzina di dieci anni non potevo ancora capire cosa fossero le convenzioni sociali e in un certo qual modo mi sentivo anche “limitata” rispetto a quel contesto.
Ha mai visto la serie tv di Isao Takahata o altre serie del “Sekai Meisaku Gekijo”?
Mi dispiace non ho mai visto la serie di Anne… Potrei essere più specifica sul Sekai Meisaku Gekijo selezionando sugli originali letterari. Ad esempio questo tipo di produzioni prelevano storie ambientate in Occidente, a eccezione di “Daisogen no chiisana tenshi Bush Baby” (il nostro “Le voci della savana”, 1993), che è ambientata in Africa. Il punto su cui voglio insistere è che il “Sekai Meisaku Gekijo” non è influenzato culturalmente; si è trattato di un trend tutto giapponese di importazione culturale. La nuova serie “Les Miserables” sarà trasmessa nel 2007 dopo dieci anni di pausa nella produzione di questi anime e io spero che la rappresentazione del mondo (sekai) all’interno del “Sekai Meisaku Gekijo” sarà culturalmente diversa dalle produzioni del passato.
Uno dei personaggi più riusciti di “Anne of Green Gables” è Marilla Cuthberg. Semplicemente irresistibile nel suo pragmatismo e in quella sua tardiva maternità. C’è qualcosa della Montgomery in lei?
Marilla è sicuramente un personaggio interessante considerato il suo rifiuto del nonsense e il cambiamento del carattere che diventa una parte fondamentale della storia. Una delle parole chiave dei miei studi sulla Montgomery e su “Anne of Green Gables” è appunto “pragmatismo”. Marilla e la Montgomery appaiono disinvolte nel mostrare elementi tipici del pragmatismo, sebbene la scrittrice lo rivela con umorismo e satira. O meglio l’arguzia e lo humor della Montgomery sono veicolati attraverso Marilla quando interagisce con la piccola Anne.
Domanda da un milione di dollari: lei crede nella “teoria” di Anne circa i “kindred spirits” (le anime gemelle)?
Beh vorrei dire di sì. O meglio, mi piacerebbe credere in ciò che Anne dice: “It’s splendid to find out there are so many of them [kindred spirits] in the world” (“È splendido scoprire che ci sono così tanti di loro nel mondo”). In quanto a ciò, mi piacerebbe credere nell’idea di Anne sull’“amico del cuore”. Il legame ragazza-ragazza è supremo nel romanzo “Anne of Green Gables” ed esso è probabilmente identificabile alla svelta dalle lettrici. Anche questo è un punto a favore del grande fascino del romanzo.
 
Akiko Uchiyama
È professoressa a contratto presso la “School of Languages and Comparative Cultural Studies” all’Università di Queensland, Australia. Insegna principalmente corsi di traduzione nell’ambito del programma MAJIT (Master of Arts in Japanese Translation and Interpreting). La sua area di ricerca include la letteratura per ragazze e la traduzione come strumento culturale per comprendere il legame fra due Paesi o culture coinvolte.
 
© Yamato Video per l’intervista. Si ringrazia Akiko Uchiyama per la cortesia e la disponibilità.
 
 
Classifica dei personaggi del Meisaku
 
1° Posto
Heidi (1974, 52 episodi, Dolmen Home Video)
 O lei o Elisabetta Viviani. Non ci sono santi che tengano. L’una inseparabile dall’altra, almeno nella tradizione pop locale. In realtà la pastorella narrata da Takahata – con notevoli varianti rispetto al romanzo di partenza scritto da Johanna Spyri – è una sorta di divinità dell’immaginario infantile. Come lei non c’è nessuna. Personaggio unico: peccato mortale anche solo provare a clonarla.
 
2° Posto
Anna dai capelli rossi (1979, 50 episodi, Dolmen Home Video)
Perché è un capolavoro. Parla di amicizia, legami con gli adulti e con il mondo degli adulti, mostra cos’è la morte e la perdita di un caro. È un ritratto meraviglioso dell’infanzia e ti spiega perché è così eccitante sognare a occhi aperti. Il romanzo è firmato da Lucy M. Montgomery e pubblicato nel 1908.
 
3° Posto
Pollyanna (1986, 52 episodi)
Questa chi la ferma più. Con un rimasuglio dei bei tempi (vedi il chara design di Yoshifumi Kondo) e qualche bravo regista si può raccontare dell’orfanella che porta la luce in un mondo di adulti troppo impegnati a pensare a se stessi. Vivace, incontenibile, simpatica. E se anche quella musona di zia Polly riprende il sorriso, vuol dire che c’è speranza per tutti. Dal romanzo di Eleonor H. Porter pubblicato in America nel 1913.
 
4° Posto
Dolce Kathy (1984, 52 episodi)
Roba d’altri tempi con bimbi e bimbe devoti alla famiglia e ai più nobili valori. Dio li benedica. L’aplomb mite e volitivo della ragazzina con i capelli color del miele che aiuta i nonni dovrebbe bastare a farla Santa subito. La mamma è via a lavorare e Kathy sacrifica se stessa per il bene della famiglia. Potrebbe riempire il cuore ai tanti fighetti del giorno d’oggi. Potrebbe.
 
5° Posto
Lucy May  (1982, 50 episodi)
La preferiamo a “Flò, la piccola Robinson” (1981) per innumerevoli ragioni. Primo fra tutti il viaggio fisico e spirituale che la conduce in Australia, di due secoli fa, a rifarsi una vita con la famiglia. Un viaggio che è una continua messa al prova. Anime tratto dal romanzo “Southern Rainbow” di Phyllis Piddington. Meraviglioso nella sua semplicità il design di Shuichi Seki.
 
6° Posto
Remì (1977, 52 episodi, TMS, Medusa)
L’unico maschietto di questa lista, con buona pace di “Marco”, “Tom Story” e “Il piccolo Lord”. Distinti saluti anche al delizioso “Remì” (1997) al femminile prodotto da Nippon Animation. Con la regia di Osamu Dezaki i famosi piagnistei miyazakiani diventano un’apoteosi del dolore e del dramma. Capolavoro, ma difficile salvare il buon umore.
 
7° Posto
Lovely Sarah (1985, 46 episodi, Dynamic Italia)
La “piccola principessa” di Frances H. Burnett è uno di quei personaggi, magari imperfetti graficamente, che rendono giustizia ai soprusi e alle vessazioni del mondo bambino in chiave romanzesca e scintillante (come le monete d’oro del conto in banca di Sarah Crew). Un piccolo cult. Confessate che pure voi avreste desiderato trovarvi nella scena con la disfatta di Miss Minchin al cospetto della principessina…
 
8° Posto
Peline Story (1978, 52 episodi, Yamato Video)
Altro viaggio, altra storia di perdita che dovrebbe condurre a una nuova esistenza. In questa celebre serie di Hiroshi Saito collaborò anche Takahata, marginalmente. L’anime lascia il segno per l’innovativo e delicato chara design (a cui contribuì il maestro Yasuji Mori) e la solidità della storia tratta dal romanzo di Hector Malot.
 
9° Posto
Sui monti con Annette (1983, 52 episodi, Dynamic Italia)
Chi non ha mai parteggiato per la testardaggine di Annette, montanara senza madre costretta a fare da mamma al fratellino Dany? E chi non ha mai poco tollerato l’irascibile Lucien (che combinerà un bel guaio)? I monti di Heidi sono un ricordo, qui i sentimenti dei ragazzini si trasferiscono sul personale e l’orizzonte etico è un fardello che ci si porta dietro in cerca del perdono.
 
10° Posto
Les Miserables – Shojo Cosette (2007)
Sulla fiducia. Si tratta del nuovo anime della serie “Sekai Meisaku Gekijo” che debutterà su Fuji Tv il prossimo gennaio 2007. Le prime immagini lasciano supporre un abbandono totale dell’indole poetica anni ’70 e ’80. Ma ci sono passati tutti. Dal romanzo di Victor Hugo.
 
di Mario A. Rumor
 
Heidi © Dolmen Home Video su licenza Planeta Junior
Anna dai capelli rossi © Dolmen Home Video su licenza Planeta Junior
Anne of Green Gables © Sullivan Entertainment
Sui monti con Annette © Nippon Animation Co., Ltd./Dynamic Italia per la versione italiana
Lovely Sarah © Nippon Animation Co., Ltd./Dynamic Italia per la versione italiana
Remì © TMS
Les Miserable – Shojo Cosette © Fuji Tv
Lucy May © Nippon Animation Co., Ltd.
Polyanna © Nippon Animation Co, Ltd.
Peline Story © Nippon AnimationCo., Ltd./Yamato Video per la versione italiana
Dolce Kathy © Nippon Animation Co, Ltd.

 
 
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