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Interviste

Mamoru Oshii secondo Davide Taṛ

Intervista doppia, che è sempre di moda, a due giovani saggisti che si sono occupati di Mamoru Oshii con due libri, uno italiano edito da Morpheo Edizioni, l’altro americano pubblicato da Palgrave Macmillan. Due punti di vista, una stessa passione.
 
PARLA DAVIDE TARO’
Perché un libro su Mamoru Oshii? Da cosa nasce il titolo che hai voluto dargli?
Perché era, a mio giudizio, necessario. Non che ci siano tanti saggi in circolazione (purtroppo) sugli autori dell’animazione giapponese (e non) ma, nel bene e nel male, autori come Hayao Miyazaki avevano avuto il loro spazio, prima su riviste quali “Yamato”, poi con libri quali “L’incanto del mondo” di Anna Antonini e “Il dio dell’anime” di Alessandro Bencivenni, senza contare all’estero i lavori delle studiose Helen McCarty e soprattutto Susan J. Napier. Fuori dall’Italia la situazione era più o meno la stessa per Oshii, a parte la bella e sparuta eccezione del volume di Brian Ruh.
Oshii era costantemente fuori campo, inquadrato a tinte non chiare, citato anche a sproposito a volte. Eppure qualche volta, le volte che contano direi, questo autore ritornava, ritornava sempre, per esempio nel bel libro-bibbia sull’animazione giapponese “Anime al cinema”. Era un dovere, un piacevole e devoto dovere scrivere qualcosa su di lui, assolutamente, innanzitutto proprio come spettatore assetato di altre informazioni che non venivano date.  
Il titolo è un omaggio-citazione al sottotitolo italiano del suo film più famoso: “Ghost in the shell – Lo spirito nel guscio”. Io ci vedevo profonde e rabbiose affinità in tutta la sua produzione… delle effimere, nascoste, poco visibili affinità. Ma ben presenti. E poi perché “l’uovo” (presente e stilizzato anche nella copertina del volume) è parte integrante della cinematografia di Oshii (tutta), ne è l’esempio e la sintesi più diretta.
Dimentichiamoci per un istante il Mamoru-regista televisivo, quale posto occupa o potrebbe occupare in un sistema cinematografico che in Giappone vede Miyazaki al vertice e tutti gli altri dietro?
Un posto davvero a sé. Parliamoci chiaro, nessuno sa davvero dove “piazzarlo”. Né in Oriente, né tantomeno in Occidente. Allegri, grandi, incommensurabili, insostituibili pazzerelloni sono riusciti a infilarlo nella sezione “documentari” all’ultima Mostra di Venezia, bontà loro, e non sto scherzando, li ammiro davvero. Un Miyazaki, grande nel narrare e nel far provare emozioni, maestro nella “demiurgica” animata ed emozionale di questo genere chiamato forse un po’ inconsciamente e senza cognizione di causa, Cinema, ci fa vedere e provare come certi film possano essere solamente animazione, e non si possano pensare in maniera diversa e quindi, forse, oltre il cinema comunemente inteso. Oshii ha intrapreso, forse inconsciamente e in parte un’altra strada.
Lo “studio” di una percezione di realtà particolare. I suoi film sono “saggi” sulla percezione del mondo. “Saggi” anche divertiti e divertenti, fuori da ogni logica normale di messa in scena (Talking Head), ma pur sempre saggi. Con questo non voglio dire che vedere Oshii sia come studiare o che lui abbia degli intenti “saggistici” (peggio ancora !). Tutt’altro. Ma è indubbio che qualcosa sulla sua sterminata cultura e gli interessi filosofici-antropologici-artistici vengano assolutamente fuori, facendo indissolubilmente parte di tutta la sua opera.
Qual è secondo te la migliore dote di questo autore? E quale il difetto più evidente?
La dote migliore è anche il suo difetto più evidente. L’indomabile voglia di andare oltre, senza far troppo caso a quanti davvero lo seguano. Oltre la visione, la percezione, la narrazione e oltre la messa in scena. Non per un acritica quanto inutile voglia di “farsi vedere” o “notare”, tutt’altro, per un anelito arcano quanto irresistibile, un richiamo direi. A Cannes nel 2004, questo è successo.
Che il suo capolavoro “Ghost in the shell 2: Innocence”miracolosamente in concorso, venisse guardato distrattamente, quando non con una malcelata antipatia, da un pubblico casuale che comunque di rado guarda animazione, e venisse giudicato negativamente proprio per quella sua supposta supponenza della quale il regista non è solo sfornito, ma non ne è neppure consapevole.
Io sono sicuro che vi siano interessanti e competenti giornalisti di cinema in Italia ma, a mio modo di vedere le cose, la maggior parte vive in una campana di vetro, che è la sintesi di una “intellighenzia” ben radicata in tutte le riviste più conosciute (e “potenti”) di cinema, cultura e spettacolo che, ad esempio, non solo non ha apprezzato a Cannes 2004 non dico tanto Oshii, ma quello che lui rappresentava: cinema “d’animazione” non comunemente inteso come “narrazione di disimpegno, o di ‘medio’ svago” e soprattutto da aggiungere a questo, la colpa più grave: essere cinema d’animazione non americano.
Troppo complicato, troppe “pippe mentali”, dove cavolo vuole arrivare? Ma soprattutto: chi se ne frega… “Blade Runner” di Ridley Scott l’ha detto prima e meglio di lui…
Non so se sia un atteggiamento da combattere, non lo so proprio; da prenderne comunque amaramente atto, questo sicuramente sì. Intanto, chi ha davvero dato la notizia che “Ghost in the shell 2” era nelle sale cinematografiche italiane ad agosto per la Eagle Pictures? Ricordo la rivista “Best Movie”, e basta. Poi il settimanale “Film Tv” che l’ha “recuperato” come citazione a inizio settembre, quando non era più presente nelle sale. Almeno ci ha provato. E di gente “assetata di cinema” ad agosto che rimane in città e che va comunque al cinema c’è traccia. Io sono uno di quelli, e dando i soldi alle riviste specializzate avrei l’auspicabile speranza che le suddette mi informassero su TUTTO quello che esce anche ad agosto, e non solo sulle anteprime dei “Pirati dei Caraibi”... Altrimenti mi accontenterei del televideo della Rai (che peraltro citava il film di Oshii).  
Se dovessi spiegare a un lettore poco pratico la differenza tra l’Oshii regista di film animati, e l’Oshii regista di pellicole live-action? E, a proposito, di quest’ultima compagine quale titolo preferisci in assoluto?
Non ci sarebbe tutta questa differenza, anzi direi che sarebbe un errore, a mio modo di vedere le cose, non mischiare le due compagini. Indubbiamente vedere uno degli episodi più pazzi e disturbanti della serie “Lamù” (E poi non rimase nessuno, Ciak si gira !, Le casalinghe e altri ancora) e vedere “Talking Head”, suo misconosciuto film live (cioè con attori in carne ed ossa) del 1992, come stretta concezione di messa in scena e dello spettacolo siamo lì, vanno nella stessa direzione. Addirittura lo dice lui stesso, non con le parole ma con i fatti, facendo “continuare” la saga dei Kerberos nei due film live “Red Spectacles” (Akai Megane) del 1987 e “Stray Dogs Panzer Cops” del 1993 direttamente al film di animazione diretto dal bravo e giovane Hiroyuki Okiura “Jin-Roh” del 1998. In realtà c’erano prima i manga (Hellounds of hell) disegnati da Kamui Fujiwara… però lasciamoli dove stanno, non complichiamo troppo le cose.
Nei live action, soprattutto in “Avalon”, ma anche in “Akai Megane”, il desiderio di vedere cosa differenzia la messa in scena “animata” dalla messa in scena “live” è grandissimo, tant’è che in “Akai” gli attori, tra cui Shigeru Chiba, suo attore e voce feticcio, si muovono con precise regole che solo l’animazione potrebbe rendere appieno, ma che in un film live sanno di “teatro”, di “finzione”, con un Chiba così divinamente “snodato” e “zannesco” da sembrare lui stesso un cartone animato. In “Avalon” va ancora, guarda caso, più oltre, e rende “animato” un film live, in un altrove della visione, in una Polonia mai stata così trasudante di secoli di laica sacralità …
Il mio film “live” preferito? Per ragioni di affetto e strane affinità elettive (e cinematografiche) direi proprio “Talking Head”, un divertito, coraggioso, lucidissimo e inquietante saggio sulla storia del “cinema” da Méliès all’antica arte dei prestigiatori, sino all’animazione, che dovrebbe essere visto attentamente da chi continua a dire che l’animazione non ha molto senso di esistere rapportata al “live”, e altro ancora, di inquietante ed indefinibile. Poi, subito dopo, ovviamente, “Avalon”.
    
Di tutti i colleghi, Oshii è grande amico di Miyazaki: colui che è l’antitesi vivente del suo cinema. A parte alcuni registi americani o polacchi, la lista è sguarnita di personalità altrettanto importanti e invadenti. Secondo te quale potrebbe essere la ragione e, a tuo avviso, una collaborazione creativa tra i due è ancora possibile?
Io penso che più che antitesi vivente del suo cinema, sia la sua antitesi di modalità di percezione.
In Miyazaki, la mia personalissima impressione è che dietro a una apparente, completa apertura all’ “incanto del mondo”, per citare il titolo del saggio di Anna Antonini, ci sia una visione “ben cementata” del mondo e di come le persone dovrebbero comportarsi in questo. Non è un male né un bene, però è un fatto. In Oshii, lo sguardo di un regista che intravede, solo lui, in un effimero istante e in un vecchio studios di animazione il fantasma pallido di una figura femminile, beh… in quella inquadratura c’è più uno sguardo incredulo e meravigliato di un bambino pronto ad apprendere, spaventarsi, ridere e provare emozioni che di un supponente saggista-filosofo. In Miyazaki invece tutti gli sguardi di bambini e adolescenti, vergono verso la meraviglia del mondo, vergono comunque verso un “suo” mondo, che deve essere così, con le sue modalità e i riti che ci sono sempre stati e sempre ci saranno. In Oshii, qualsiasi sguardo è diretto verso un altrove sconosciuto, non certamente suo. Per questa visione, a mio modo di vedere, ci vuole più coraggio e oserei anche “fede”. Una collaborazione tra i due? Sarebbe singolare e io la auspicherei… adoro in modo profondamente differente entrambi. Ma non la credo possibile.
Sul sito www.nausicaa.net c’è proprio una interessantissima intervista a due tra Oshii e Miyazaki intitolata “Around the movie Patlabor 2: To Put an End to the Era”, che consiglio di leggere a chi padroneggia un poco l'inglese.
In “Patlabor the movie 2” c’è una sequenza di allucinante attualità: l’attacco terroristico nel cuore della Capitale. Succedeva nel ’93 (al cinema). Quanti, secondo te, si sono accorti che quella di Oshii non è una semplice ossessione ma qualcosa di molto più invasivo nella coscienza sociale e politica di tutti noi?
Non so esattamente quanti, ma penso assolutamente che qualcuno ci sia stato. Invasivo come pochi, e disturbante per la coscienza sociale, Oshii lo era già da tempo. In “Akai Megane” e “Stray Dog Panzer Cops”, quella che ci viene presentata è la fine di una coscienza sociale, ormai addormentata in un inconscio collettivo. Solamente dei cani selvatici, per loro personale dannazione, circolano solitari per le strade consci di quello che accade, ma loro, per stessa natura, sono destinati a morire proprio come cani. Penso che non si possa disgiungere Oshii da questo suo modo di vedere la società post-bellica, e la realtà stessa non dimentichiamolo, dalle sue opere anche apparentemente più “disimpegnate”. E per “disimpegnate” non sto parlando di “Lamù” (dove peraltro in maniera goliardica ma non troppo, vi erano molti accenni politici e una visione della realtà mica male: pensate al personaggio di Megane o alla struttura sociale di Tomobiki…) ma a un “Ghost in the shell” e al secondo Oav “Twilight Q”. La sua visione di società, di coscienza sociale, si mischia indissolubilmente a una visione/percezione di mondo ben precisa. Non ho usato la parola “realtà” al posto di mondo, per una scelta ben precisa e non casuale. In Oshii non vi è “una realtà” ma una percezione di modi di vedere le cose. Come il suo amato cane Gabriel che vede in modo bicromatico/canino il mondo…Quella è una percezione di mondo, una delle tante, e sicuramente non la più stupida. In “Akai Megane” non è un caso che, sin quasi fino alla fine, la pellicola sia girata in una bicromia canina…
Da appassionato quale personaggio femminile immaginato o ricreato sullo schermo dal regista ti emoziona di più?
Mi emoziona di più Noa Izumi. E ovviamente il personaggio non è suo. Oshii, credo, si sente a suo agio con personaggi femminili creati, ma soprattutto approfonditi da altri. Lui non desidera, né credo ne sarebbe capace, di approfondire un personaggio femminile, semplicemente perché per lui, non sono semplicemente personaggi. A costo di apparire blasfemo, penso che per Oshii, il personaggio femminile sia più una icona… un simbolo. Detto questo, non affermo che non siano essenziali nella sua cinematografia, anzi, anche perché i suoi film parlano chiaro meglio di me, e in tutti vi sono figure femminili che prendono notevole importanza per la storia. Anche quando apparentemente sono “solo” spettri, apparizioni fuori campo dell’inquadratura (“Akai Megane”, “Talking Head”). Perché nella donna c’è qualcosa di fantasmatico, di enigmatico e di atavicamente sacro nella filmografia di Oshii.
Ah! Dimenticavo…Lamù! Quando ero piccolo, ma neanche troppo, mi emozionava nel senso più fisico del termine, con il suo bikini tigrato giallo... ma questo sarebbe un altro discorso.
Da studioso del “fenomeno Oshii” invece ti sarai sicuramente reso conto che lui è uno straordinario manipolatore di immagini, uno che ama confrontarsi con le nuove tecnologie (e “Innocence” è un esempio supremo di questo). Dove pensi che andremo a finire?
La cosa bella in Oshii è che non si sa mai dove si può andare a “finire”. Ho visto il suo ultimo “Tokyo Grifters” e… è oltre, oltre la rappresentazione iconica per immagini. Ricorda vagamente “The District”, bel film animato nordico, e vagamente “South Park”, ma non è così. Lo stretto contenuto e la poetica non si distanzia dai più rocamboleschi episodi della serie “Lamù” (il cibo, i combattimenti per esso, una mitologia sul cibo consumato in quei chioschi entrati nel mito per chi ha visto almeno una volta animazione e film giapponesi). Sulla forma non siamo davvero distanti dalla “sacralità dell’immagine e dei movimenti” di certi ‘rituali balinesi’ e di antiche civiltà tribali… E non scrive male a questo proposito il giornalista Matteo Boscarol in un interessante articolo apparso su Il Manifesto online nel mese di luglio 2006. Cavolo! Oshii è davvero oltre, ho il sospetto che ci voglia far capire quanto l’animazione non sia cinema (e qui apparentemente vado contro i miei studi). È qualcosa lievemente più alt(r)o.
L’erede di Oshii è già nato oppure tocca aspettare ancora?
Penso a Lars Von Trier, non come controparte precisa, perché sono due figure molto diverse, ma come figura che gli si avvicina nella ricerca formale. Guardando al passato invece, so che mi attirerò le critiche dell’universo intero, ma credo che sia la geniale e inquieta iconoclastia di un Orson Welles sia la figura più vicina. Se invece intendevi nell’animazione… non credo. Satoshi Kon è bravo, ma è ancora dentro l’animazione, non che sia una cosa negativa tutt’altro, ma è essenzialmente diversa. Stesso discorso, anche se in maniera lievemente traslata, per grandi quali Osamu Dezaki, Katsuhiro Otomo, Yoshiaki Kawajiri (che adoro), Shinichiro Watanabe e tantissimi altri registi che fanno intravedere e vivere quello che può fare l’animazione come rappresentazione e potenza. Per Hideaki Anno si potrebbe fare un discorso a parte, pure lui è oltre l’animazione comunemente intesa, ma in confronto ad Oshii, a mio parere, ancora gli manca una solida veduta di insieme delle cose.  
Domanda perfida: qual è il tuo Oshii preferito (film, serie tv,oav)?
“Lamù – Beautiful Dreamer”. Riesce a contenere tutta la dissacrante, irriverente, “zannesca”, goliardica esuberanza giovanile di Oshii ma nello stesso tempo senza perdere di vista neanche per un secondo tutti gli elementi cardine della sua poetica. Fateci caso, guardandolo.
Il miglior pregio del tuo libro?
Ehm… che è scritto da me? [sorride]
A parte gli scherzi, l’ho scritto io che Oshii l’ho adorato e visto fin da piccolo (anche quando non sapevo chi fosse…), quindi sempre meglio che da un autore che magari si mette a scriverlo ora dopo aver visto solo i due (peraltro bellissimi) “Ghost in the Shell”. Atteggiamento tipico di certa critica italiana. Io ho provato ad andare oltre, poi se ci sia riuscito o no, questo potrà dirlo l’eventuale lettore. Ho rivissuto nella scrittura momenti come questi: quei lunghi piani all’interno di sale cinematografiche inquietantemente vuote, con i fantasmi della messa in scena che venivano proiettati sullo schermo… La città di Tokyo sotto una immanente coltre di neve, resa davvero un altrove della visione, con piccoli fiocchi che lentamente e ieraticamente scendono su figure di soldati così simili a manichini. O le risse per un succulento sukiyaki, che sono un modo di vedere e percepire il mondo circostante, e non solo cibo…
Questo e molto altro è Oshii per me…
Approfitto dello spazio per i ringraziamenti. A te Mario, e “MAN·GA!”, per l’intervista. Volevo ringraziare pubblicamente l’amico Andrea Fontana che ha creduto profondamente nel libro.
Ringrazio Filippo Pattarini della Morpheo Edizioni (www.morpheoedizioni.it), che ha avuto fiducia nell’opera. Inoltre il libro è dedicato a mia madre e mio padre, morto troppo presto. Grazie ancora a tutte le riviste specializzate che hanno segnalato l’esistenza del mio saggio come “Cinemavvenire”, “Ciak”, “Best Movie”, i siti on-line www.sentieriselvaggi.it, www.cinemadelsilenzio.it, www.animeclik.it, www.centraldocinema.it. Spero di averli ricordarti tutti!! Grazie davvero.
 
Profilo biografico
Davide Tarò (Torino, 1976). Si laurea all’Università di Torino in Lettere e Filosofia indirizzo cinematografico con il professor Dario Tomasi. È stato redattore per la Nippon Edizioni, casa editrice torinese specializzata in pubblicazioni di approfondimento sull’animazione giapponese come “Sushi”, “Nippon Magazine”, “Rising Sun Magazine” e “Lamune”. Collabora con le pagine degli spettacoli e di cinema per la “Gazzetta di Venaria” (To) per un paio di anni. Scrive per la rivista cinematografica cartacea “La Linea dell’occhio” (Lucca), e con magazine on-line quali www.effettonotteonline.it, www.Sentieriselvaggi.it, www.centraldocinema.it e www.infofumetti.com.
È fondatore insieme a un gruppo di studenti di Torino dell’associazione culturale dedicata allo studio e alla diffusione del nuovo cinema giapponese, Neo(n)eiga, che ha anche un suo sito: www.neoneiga.itHa collaborato con Dynit (Dynamic Italia) per la stesura di vari contenuti extra di alcune serie in dvd (Kyashan vol. 6/7: L’intero dossier dedicato alla pellicola ‘Kyashan La rinascita’ e il piccolo dossier ‘Kyashan metamorfosi di un mito’) e approfondimenti per la rivista “Anime Horror” (Bem n°6 : ‘Bem e gli Spaghetti Horror’).
Organizzatore assieme a Stefano Gariglio e Neo(n)eiga delle due edizioni di “VISIONI D’ANIME”, rassegna di animazione giapponese tenutasi al Museo Nazionale del cinema di Torino, è stato anche coordinatore sempre insieme a Neo(n)eiga di “Torino Cartoons 2005”, della rassegna “Yoshida Kiju – Il cinema che ci osserva” e ad aprile 2006 della più completa rassegna sinora realizzata in sul regista Miike Takashi: “Anime perdute – Il cinema di Miike Takashi”; oltre alle due serate dedicate all’originale ensemble musicale “Kumonosu Quartet” il cui fondatore è il regista Tsubokawa Takushi, sempre presso il Museo Nazionale di Torino, sempre sostenuto da Neo(n)eiga.
Ha collaborato alla redazione del libro “Anime perdute – Il cinema di Miike Takashi” (a cura di Dario Tomasi) pubblicato da Edizioni Il Castoro/Museo Nazionale del cinema, Milano/Torino 2006. Attualmente è curatore della linea “Manhua” (i fumetti della Cina continentale come “Il Volo”, “My Street” e “Melodia Infernale”) della torinese 001 Edizioni(www.001edizioni.it).
In altra veste ha progettato e sceneggiato per la Nippon Edizioni il fumetto “OROBORO”, disegnato da Massimiliano Feroldi, e ha scritto alcuni racconti per la rivista letteraria cartacea “Ellin Selae” di Murazzano (Cn) (www.ellinselae.it).
Ha partecipato a vari cortometraggi di diversa provenienza, della Lorelei Production(www.web.tiscali.it/actionmoviee della Yokai Film, tra cui “Solo nell’oscurità”, “Forever”, “Il signore dei pupazzi”, “Bosco Bigio” e l’ancora in lavorazione “Buscaglio”. 
Sta collaborando con Il Teatro Delle Forme di Carignano (To) (www.teatrodelleforme.it) per la gestazione di un libro biografico e commemorativo in occasione del decennale della singolare compagnia piemontese.
 

 di Mario A. Rumor

 
 
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