Yamato video

 
 

Press - 2006

Satoshi Kon ha conquistato Venezia

Widescreen (N. 4, Novembre 2006)
Mario A. Rumor

Satoshi Kon è uno che non perde tempo. Nell'olimpo dei registi d'animazione che contano ci è arrivato neanche dieci anni fa con un film da brivido, Perfect Blue (1997), che lo ha agiatamente collocato in un limbo creativo molto lontano dalle mode e dagli stereotipi di cui si imbeve la tradizione nipponica. Un outsider di talento che con la sua giovane età (è nato nel 1963) ha terremotato le gerarchie autoriali di casa sua, di solito in mano a veterani della regia ultracinquantenni. E senza passare direttamente per la casella delle serie tv: traguardo che ha tagliato dopo tre film con l'anime-capolavoro Paranoia Agent (2004, in arrivo anche in Italia) dove ha riproposto la sua personalità inquieta di pensatore "per immagini" senza tradire le elevate pretese qualitative cui ci ha abituato. È uno che non perde tempo e neppure lo fa perdere ai suoi finanziatori, riuscendo spesso a terminare un nuovo lavoro a tempo di record e quasi mai sforando con il budget, solitamente inferiore al miliardo di yen. Roba da guiness dei primati se poi sullo schermo passano immagini e animazioni di rara bellezza. Qual’è il segreto dei suo successo? In molti glielo hanno chiesto. Risponde: rigore e tanta passione. Più materialmente, Satoshi Kon si affida allo stesso sparuto gruppo di fedeli collaboratori (Susumu Hirasawa alle musiche, Masashi Ando alle animazioni e al character design) e ha innalzato il nome dello studio Madhouse, da dove sono usciti sontuosi film come X (1996) e Metropolis (2001), al di sopra della marea di piccole e grandi compagnie che affollano l'industria dei toons nipponici.
Approdare al Festival del Cinema di Venezia è una conquista che lo rende ancora più orgoglioso del mestiere di narratore che si è scelto ("II cinema? È soltanto una casualità, avrei potuto fare lo stesso scrivendo romanzi o disegnando fumetti"). Sapere che un pubblico numerosissimo di fan e semplici curiosi ha affollato le proiezioni al Lido del suo ultimo film, Paprika, è la conferma che forse il giovane erede degli anime giapponesi non è il poco lodato figlio di Hayao Miyazaki, Goro (regista di Gedo Senki), ma l'ex studente del Musashino College of Fine Arts che anziché pensare agli studi si impiegava come disegnatore a cottimo pur di frequentare celebrità come Katsuhiro Òtomo e Mamoru Oshii.
Paprika tra l'altro si adatta bene al karma registico di Kon, fatto di dimensioni narrative irrequiete e instabili dove il confine tra realtà e finzione è così labile a volte che neanche se ne accorgono i personaggi di cui racconta la vita sullo schermo. Tratto da un romanzo science fiction di Yasutaka Tsutsui scritto nel 1993 e che il regista sognava da tempo di portare al cinema, il film racconta l'incubo allucinatorio a occhi aperti (chiusi) della dottoressa Atsuko Chiba che lavora in uno speciale laboratorio dove è stato realizzato un prototipo rivoluzionario: il DC-Mini, capace di entrare nei sogni dei pazienti per uso terapeutico. La donna ha un alter ego più giovane di nome Paprika (entrambe hanno la voce della medesima doppiatrice, Megumi Hayashibara, un'autentica leggenda della cultura pop nipponica) per penetrare i sogni delle persone e scoprire l'origine dei loro disturbi. Stavolta però le cose girano male: qualcuno ruba i prototipi di DC-Mini e la situazione precipita nel caos. A indagare arriva il detective Konakawa.
Il soggetto è affascinante per Satoshi Kon, ormai abituato a perlustrare i confini realtà/finzione: vedi anche Perfect Blue, con la sua idol tormentata, vedi l'inedito (e bellissimo) Millennium Actress (2001 ), con rievocazione biografica di un'attrice del tempo che fu mescolata a brandelli di cinema da lei vissuti. Un tema fatto su misura per il suo ego artistico nel quale soltanto lui sembra districarsi tra congetture ardite e costruzioni narrative più complesse del solito. Un mondo a parte degli anime, come sempre arricchito da scene straordinarie e coloratissime.

Yamato Video riscopre i classici
O meglio: le vestigia di un clasico come Il conte di Montecristo, di Alexandre Dumas, che risorge sul piccolo schermo in forma di variopinta serie tv diretta da quel geniaccio di Mahiro Maeda (Blue Submarine n. 6). Il titolo resta sempre lo stesso, i nomi dei personaggi pure. Cambiano ambientazione e dislocazione temporale (in the near future).  Ciò che è davvero innovativo è lo stile visivo della serie, immaginata come orgia di colori à la Gustav Klimt appiccicata sulla pelle (e sulle vesti) dei personaggi. Espediente che ricorda Osamu Tezuka e il suo Kanashimi no Belladonna (1973) dove l’arte entrava nel tessuto in movimento dell’animazione. Di classici tout court si parla invece con l’edizione in Dvd di due piccoli film degli anni ’80 dal sapore fiabesco. Uno è Il lago dei cigni (1981) diretto dal veterano Koro Yabuki con musica di Peter Tschaikowsky, l’altro è La lampada di Aladino (1982), regia di Yoshinori Kasai: entrambi realizzati da Toei Animation per rientrare nelle grazie del grande schermo dopo averlo ripudiato per le produzioni televisive. Colpo di scena e preda ambita dei fan è invece lo speciale dvd che raccoglie due episodi della serie Lupin III diretti nel 1980 da Hayao Miyazaki, all’epoca disoccupato di talento in cerca di affermazione. Dopo Lupin III – Il Castello di Cagliostro, i due episodi sono considerati micro capolavori di una filmografia di successo.

 

 
 
 
 
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