News - dicembre 2011

Addio al maestro Shingo Araki

Che altro si può dire di Shingo Araki, se non che è stato un gran signore? Non soltanto del disegno, ma anche persona di indubitabile cortesia e affabilità. Tra tutte le scempiaggini che si sono lette cinque secondi dopo aver appreso della sua morte, ce n’è una che lo considera “creatore” di Goldrake. Idiozia pura. Ci auguriamo sia uno scivolone occasionale, da pischelli, i quali devono pur coprire due righe per assurgere a imperitura gloria su Internet. Allora facciamo finta di non averla mai letta quella cosa. Se non altro perché Goldrake vuol dire Michi Himeno, vuol dire Kazuo Komatsubara al chara design, vuol dire estro creativo di Araki nell’intervenire sui disegni altrui, correggendo e portando a eleganza formale ciò che per migliaia di spettatori era già mito dai tempi di Babil Jr., il primo grande riconoscimento per il disegnatore.

Nato nel 1939 a Nagoya, Shingo Araki di solito lo si associa alla bellezza rivoluzionaria di Lady Oscar ma soprattutto all’epica cool de I Cavalieri dello Zodiaco. Epica da figaccioni: capelli indomabili, magrezza felina, occhi da sballo. Quest’ultimo è il lavoro che si è portato dietro fino al giorno del ritiro dalle scene. Ma non lo rappresenta del tutto. A quasi 73 anni, Araki naturalmente non si è fatto mancare nulla. Disegna fumetti praticamente in fasce, oltre una cinquantina, partecipa alle fasi iniziali e strategiche di Mushi Production, filiale animata di Osamu Tezuka nei primi anni Sessanta. Poi fonda uno, due, tre studi: qualcosa nato in seno a Mushi, qualcos’altro per pura soddisfazione professionale. Anche senza dover per forza sentirsi chiamare sensei. Però quanto a severità e intransigenza, guai a fiatare. Qui sta il bello dei veterani dell’animazione giapponese “vera”: Araki ha trangugiato oltre mezzo secolo di televisione e cinema, passando con disinvoltura da piccoli ruoli come intercalatore (il primo lavoro non si scorda mai: Jungle Taitei è del 1965) per poi sgraffignare sempre più spazio e ruoli di notevole importanza. Andate sulla solita wikipedia per rifarvi gli occhi con i numeri, oppure prendete d’assalto la vostra collezione di anime e ripensate alla capacità di questo artista di saper essere stato rude nel tratto come in Rocky Joe (e mica soltanto perché così esigeva il fumetto di Tetsuo Chiba), realistico tendente al bello, o bello e basta (da Lady Oscar a Lulù l’angelo dei fiori).

Su questa sua inclinazione a pretendere il bel tratto ovunque possiamo pure intavolare parentela artistica con l’altro grande disegnatore di anime di allora, Kazuo Komatsubara. Ma perché era la loro epoca a pretendere il disegno come forma d’arte e, anche, spettacolo. Non viceversa. Dello scontro di idee con i colleghi, di giovani signorine – nella fattispecie Michi Himeno – che una volta diplomate coronano il sogno di un vita e finiscono a lavorare per l’agognato sensei; di registi seri e rigorosi come Osamu Dezaki che gli rompe le uova nel paniere (leggi: i primi diciotto episodi di Lady Oscar) e sconvolge il suo glorioso e raffinato chara design per farlo sembrare simile a quello di Akio Sugino (leggi: i restanti episodi di Lady Oscar), ebbene anche tutto questo è servito a nutrire una leggenda. Festeggiare Shingo Araki come se fosse ancora fra noi, è il modo migliore per ricordarlo. Io comincio da Lady Oscar. Poi, se proprio volete i numeri, il trionfo del suo disegno è passato incolume attraverso piccoli e grandi ruoli: Tommy la stella dei Giants, Bia la sfida della magia, Devilman, Ulisse 31, Capitan Harlock SSX, Kiss me Licia e via così. L’animazione che conta, insomma, per essere della partita.

M. A. Rumor